L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

lunedì 30 aprile 2007

ASSISTENTI SOCIALI UEPE TRENTO


All’Ordine Nazionale degli Assistenti Sociali
All’Ordine Regionale degli Assistenti Sociali
per il Trentino Alto Adige
p.c. Al Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia



Oggetto: Richiesta di interventi urgenti a tutela della deontologia e dell’autonomia professionale.
Allegati: *Copia dei Piani esecutivi d’azione 2003 e 2004;
*Circolare della D.G.E.P.E. del 21.03.07;
*Bozza del Decreto ministeriale in fieri.


Il settore in cui opera il Servizio sociale della Giustizia è interessato in questi anni da profondi mutamenti strutturali e organizzativi, a partire dalla mutata denominazione degli Uffici che – a seguito della Legge Meduri del luglio 2005 – ha visto i C.S.S.A. divenire U.E.P.E. (Uffici di Esecuzione Penale Esterna).
La nuova denominazione ha assunto di per sé un valore enorme: su un piano simbolico la scomparsa della connotazione professionale nel nome degli Uffici ha assunto di fatto il significato di una rivoluzione copernicana, di un cambio di rotta radicale nelle scelte politico-istituzionali, in un settore complesso come quello penitenziario, che ha sempre guardato con fatica e diffidenza ai contenuti veicolati dalla specificità professionale del Servizio sociale, privilegiando ottiche di sicurezza e controllo.
Sul piano più concreto della realtà operativa dei nuovi UEPE, questa scelta sta delineando percorsi che allontanano utenti ed operatori del Servizio dalle logiche di contiguità con il territorio, di riabilitazione e reinserimento sociale: ciò a causa dell’esportazione nell’esecuzione della pena esterna al carcere di modelli organizzativi e culture che sono proprie dell’esecuzione carceraria, da sempre separata dal contesto sociale e di fatto ancora lontana dalla piena e completa valorizzazione delle finalità risocializzanti della pena, previste dall’art. 27 della Costituzione.
Se fino a qualche anno fa sembrava ancora autenticamente viva la tensione a portare il territorio – la sua cultura, le sue logiche, le sue finalità – all’interno del carcere e del sistema dell’esecuzione della pena, nel tentativo di realizzare percorsi individuali e collettivi di crescita e cambiamento, quello che sembra essersi concretizzato da qualche tempo è un movimento involutivo di segno contrario, dove è la logica della sicurezza e del controllo ad imporsi sul/nel territorio, a discapito della possibilità di misurarsi realmente con il fatto che le persone in misura alternativa alla detenzione possano sperimentare nel territorio percorsi di vita alternativi.
L’inserimento di nuclei di polizia penitenziaria presso gli UEPE al fine di assicurare il controllo di polizia per le persone in misura alternativa alla detenzione, già delineato nella bozza di Decreto Ministeriale che l’Amministrazione ha reso pubblica in questi giorni e che pare di imminente approvazione, renderà ancora più irreversibile e definitiva questa inversione di tendenza, e ancora più difficoltoso sarà l’intervento professionale del servizio sociale, che si troverà ad operare in una realtà organizzativa ed istituzionale completamente mutata, palesemente condizionante sul piano dell’applicazione dei principi e della metodologia professionale.
E’ in questo quadro di scelte politiche ed istituzionali che vanno contestualizzate anche le disposizioni emesse dalla Direzione Generale Esecuzione Penale Esterna in relazione ai Piani esecutivi di azione 2003 e 2004. In particolare, la recente circolare della D.G.E.P.E. del 21.03.2007, anticipando le risultanze dei lavori del comitato istituito al fine di giungere alla definizione di standard qualitativi nella gestione delle misure alternative, individua dei criteri minimi – definiti qualitativi – a cui l’intervento professionale si dovrà adeguare, a partire dal principio ritenuto fondamentale della prossimità frequente dell’assistente sociale al condannato. In linea con le direttive superiori, le Direzioni UEPE vengono invitate ad impartire istruzioni operative che orientino gli assistenti sociali a ritenere ottimale un colloquio settimanale ed appena sufficiente un incontro ogni due settimane, da svolgersi in ogni ambito di vita della persona (lavoro, abitazione, ecc).
Gli scriventi a tal proposito evidenziano quanto segue:
le indicazioni promosse dalla suddetta Circolare sembrano violare i fondamenti dell’autonomia professionale espressamente prevista dalla normativa nazionale e dal Codice Deontologico dell’assistente sociale, imponendo tempistiche di intervento e modalità operative standardizzate, che impediscono la libera costruzione della relazione professionale ed il libero svolgersi dei progetti di reinserimento sociale concordati con i servizi e con le persone in misura alternativa, minando a priori qualsiasi efficacia degli interventi professionali;
i criteri individuati sembrano rifarsi ad un modello meramente quantitativo di valutazione degli interventi professionali che, se applicato alla lettera come è probabile avvenga in tempi brevi, vanificherà qualsiasi possibilità di costruzione di ambiti relazionali minimamente credibili e professionalmente fondati. L’enfasi posta sul concetto di prossimità con l’utente, infatti, sembra configurare l’uso degli usuali strumenti professionali per attuare meri contenuti di controllo fisico delle persone;
le linee operative delineate sembrano sconoscere il contesto e le finalità operative delle metodologie e degli strumenti propri del servizio sociale della giustizia, che attua i propri interventi in accordo con l’utente, attraverso la relazione flessibile e creativa con la rete delle risorse territoriali, per promuovere percorsi di reinserimento individualizzati, significativi dal punto di vista della persona, della sua famiglia, della comunità allargata.

Per tutti i suddetti motivi, gli scriventi chiedono l’intervento urgente e deciso dell’Ordine Professionale, sia a livello locale che nazionale, affinché promuova fermamente la tutela della cultura, dei contenuti e degli spazi professionali del Servizio Sociale della Giustizia, nonché una sua collocazione istituzionale ed organizzativa che non svilisca i requisiti fondamentali della professione di assistente sociale e che ne rispetti l’autonomia tecnico-operativa.

Trento, 20 aprile 2007

Assistenti Sociali UEPE di Trento

SATIRAINBLOG


sabato 28 aprile 2007

SPAZIO: PENSIERI LIBERI-IL DISSENSO DEL PRESIDENTE MARGARA AL PROGETTO DI UTILIZZAZIONE DELLA POLIZIA PENITENZIARIA NEGLI UEPE

Il presente scritto esprime il dissenso più completo rispetto al progetto di utilizzazione di personale di Polizia penitenziaria ad integrazione del personale di servizio sociale nella attività degli Uffici per la esecuzione penale esterna, anche se, come è ovvio, sul solo piano del controllo.
Tale dissenso è fondato su una serie di motivazioni che dimostrano molto di più della sola inopportunità del progetto. Dimostrano, cioè, la ragionevole certezza della compromissione del lavoro svolto sino ad oggi dagli Uffici in questione sia sul piano della qualità, sia sul piano dell’efficacia, sia sul piano dell’ordine interno degli Uffici medesimi, che sarà sostituito dalla conflittualità fra personale appartenente a ruoli sicuramente eterogenei.
L’introduzione della Polizia penitenziaria negli UEPE con funzioni operative nell’ambito della attività degli Uffici è estranea alle previsioni normative.
L’art. 72 dell’Ordinamento penitenziario descrive sinteticamente l’attività degli Uffici e prevede inoltre che la organizzazione degli stessi è disciplinata dal regolamento di esecuzione alla legge. E’ l’art. 118 del regolamento che descrive analiticamente organizzazione ed attività degli uffici. Sembra superfluo osservare che il regolamento adottato dal Ministro e previsto dal comma 1 del nuovo testo dell’art. 72 è norma di livello inferiore al regolamento di esecuzione citato, che ai sensi art.86 O.P. è dato con decreto Presidente repubblica su proposta dei ministri della giustizia e del tesoro, di concerto, in parte, con il Ministro della istruzione.
Circa la organizzazione, mentre, nel regolamento, vi è la previsione esplicita di personale non di servizio sociale per attività amministrativa e contabile e la possibile ed eventuale collaborazione di esperti dell’osservazione alla attività specifica di servizio sociale, non solo manca qualsiasi previsione di una possibile attività di controllo di polizia, ma la attività di controllo è prevista tra quelle proprie del servizio sociale e nel quadro delle specifiche modalità proprie di tale servizio. La lettura del comma 8 dell’art. 118 (relativo agli interventi di servizio sociale nel corso del trattamento in ambiente esterno e, quindi, particolarmente nella misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale) chiarisce come si articolano gli interventi e li descrive e li qualifica come propri della specifica professionalità di servizio sociale.
D’altronde, va puntualizzato che si parla qui essenzialmente della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, per la quale la denominazione stessa è abbastanza perentoria sulla individuazione del servizio sociale come titolare e affidatario della esecuzione della misura. Quanto, infatti, alle altre misure alternative: per la detenzione domiciliare, il controllo è affidato agli organi di polizia ordinari e, per la semilibertà, vale la disposizione del comma 3 dell’art. 101 del regolamento di esecuzione, che va interpretata nel senso che, in primo luogo, "la vigilanza e l’assistenza del soggetto nell’ambiente libero" è svolta dal centro di servizio sociale (oggi UEPE), ma che, affidata "la responsabilità del trattamento" al direttore, questi può coinvolgere il personale dell’istituto penitenziario di cui dispone, compresa la Polizia penitenziaria.
Nella sentenza costituzionale n. 343/1987, puntuale in termini di affidamento in prova al servizio sociale, si sottolinea che, con tale misura, si attua la "imposizione di misure limitative – ma non privative – della libertà personale e l’apprestamento di forme di assistenza… idonee a funzionare ad un tempo come strumenti di controllo sociale e di promozione della risocializzazione". I due aspetti sono dunque inscindibili e non possono essere gestiti da portatori di professionalità eterogenee.
2. La conferma delle difficoltà di convivenza di attività di servizio sociale (e di sostegno riabilitativo) e di attività di polizia.
Sembra utile rilevare alcune situazione nelle quali l’avvicinamento di personale che opera sul versante del trattamento riabilitativo e del personale di polizia crea aspetti di conflittualità.
Prima situazione. In linea di massima, le comunità che gestiscono programmi terapeutici relativi alla tossicodipendenza accettano solo affidati in prova al servizio sociale e non detenuti domiciliari, in quanto la seconda misura comporta i controlli di polizia, che creano problemi al regolare svolgimento dell’inserimento e della cura comunitaria. In questa situazione, quindi, gli aspetti di incompatibilità fra il trattamento di assistenza e cura in funzione riabilitativa e quello di polizia in funzione di controllo vengono valutati decisamente presente.
Seconda situazione. La pratica della esecuzione degli affidamenti in prova conosce già attualmente i controlli dei normali organi di polizia: peraltro molto infrequenti nelle zone urbane da parte della Polizia di Stato, ma molto frequenti, invece, nelle realtà urbane minori, generalmente da parte dei Carabinieri. Tali controlli pongono, in più casi, notevoli difficoltà, nello svolgersi del percorso di reinserimento, sia all’affidato che agli operatori di servizio sociale. Le modalità del controllo di polizia (accessi, per vero non richiesti, sul luogo di lavoro, visite in ore avanzate della notte, facilmente percepibili dal vicinato, da parte di personale sempre in divisa e in genere non informato del significato della misura alternativa e non a conoscenza della persona controllata e delle condizioni sue e della sua famiglia) seguono standard che non possono rispettare le regole minime della privacy e della discrezione. Ma il mancato rispetto di tali regole danneggia il regolare svolgimento del percorso di reinserimento sociale dell’affidato e la attività propria del servizio sociale. L’eterogeneità dei due interventi – di servizio sociale e di polizia – risulta chiaro. Fra l’altro, per quanto si ricava dalla esperienza, l’organo di polizia indirizza il suo rapporto, nel caso di verifica di una violazione delle prescrizioni, al magistrato di sorveglianza, non all’UEPE.
Terza situazione. Questa rivela la differenza di sostanza e di qualità fra intervento di servizio sociale, anche sul versante del controllo, e intervento di polizia. La situazione cui si accenna è quella della esecuzione della liberazione condizionale, misura alternativa attuata attraverso l’applicazione della libertà vigilata, gestita dagli organi di polizia ordinari. Nella esecuzione di tale misura, nei confronti dei condannati, "il servizio sociale svolge interventi di sostegno e di assistenza al fine del loro reinserimento sociale" (art. 55 Ord.penit.). Ora, per conoscere l’effettivo andamento della misura, le notizie che fornisce l’organo di polizia riguardano essenzialmente la conformazione o meno della persone alle prescrizioni formali della libertà vigilata (presentazioni periodiche, permanenza nella abitazione in determinate ore, mancato spostamento da comune o provincia di residenza, etc.), mentre per conoscere il procedere del percorso di reinserimento sociale della persona, cioè la sostanza dell’andamento della misura, sono necessarie le informazioni del servizio sociale sull’inserimento lavorativo e socio-familiare della persona. Il che significa che, anche sul piano del controllo, quello svolto dal servizio sociale è più significativo e si rivela in stretta connessione con le attività di assistenza e sostegno, così come rilevava la sentenza costituzionale n.343/1987, citata al numero precedente.
3. I problemi organizzativi posti dalla presenza di personale di Polizia penitenziaria presso gli UEPE con funzioni di controllo nella attività di servizio sociale.
In passato, nei centri di servizio sociale adulti maggiori, la presenza di alcune unità di Polizia penitenziaria con funzioni esecutive - conduzione automezzi, recapito corrispondenza, servizio di vigilanza interna per l’accesso dei visitatori - così come accade negli istituti penitenziari per la mancata presenza di personale di ruolo in tali funzioni, non ha creato particolari problemi.
Si può, invece, prevedere che questo accada quando il personale di Polizia penitenziaria svolga il proprio servizio, sia pure solo in funzioni di controllo, accanto al personale di servizio sociale nella attività di gestione della misura alternativa, particolarmente di quella dell’affidamento in prova al servizio sociale.
Si possono prevedere due soluzioni organizzative.
Prima soluzione. Nella prima soluzione, il personale di Polizia penitenziaria è aggregato all’UEPE e dipende gerarchicamente, come tutto il restante personale, dalla direzione dell’Ufficio. E’ molto probabile che, anche in tale situazione, l’esercizio del potere gerarchico del direttore non sarà senza problemi. Il gruppo operativo della Polizia penitenziaria tenderà a considerarsi come autonomo nella gestione del proprio servizio, una volta risolto, il che non è affatto scontato, il legame con il reparto di polizia penitenziaria esistente presso l’istituto penitenziario locale. I problemi saranno vari: si potrà prevedere una ricerca di autonomia nei tempi di svolgimento dei controlli, nella individuazione dei controlli, nella intensità degli stessi, nelle modalità di svolgimento (è scontato che sorgerà il problema se il personale opererà con la divisa o meno), nella autonomia di riferire (fare rapporto, come si dice) al magistrato di sorveglianza e eventualmente anche ad autorità giudiziarie diverse. Insomma: in tale ipotesi organizzativa, la tensione fra potere gerarchico della direzione e ricerca di autonomia nel servizio del nucleo – piccolo o grande che sia – del personale di polizia penitenziaria, si prospetta estremamente probabile: in termini maggiori o minori a seconda delle singole situazioni.
Seconda soluzione. Ma, le voci insistenti parlano di una ben diversa soluzione organizzativa: quella di commissariati territoriali di Polizia penitenziaria, autonomi dagli UEPE, collocati oppure no presso gli stessi. Ciò vorrebbe dire che il servizio in tutti i suoi aspetti sarebbe organizzato dal personale di polizia penitenziaria in autonomia, con le stesse caratteristiche dei servizi svolti attualmente in modo spontaneo e, come detto, pienamente autonomo dalla Polizia di Stato o dai Carabinieri. Tutti i problemi che abbiamo indicato possibili nell’altra soluzione diverrebbero certi, anche perché sarebbe inevitabile che i due organismi – UEPE e commissariato – presentino organizzazioni gerarchiche diverse ed autonome. Più che mai si manifesterebbe la eterogeneità dei due interventi. Tenuto conto, poi, di quanto analiticamente previsto dal comma 8 dell’art. 118 del Reg.es. all’O.P., e dalla stretta connessione che ne risulta fra aiuto e controllo, si andrebbe incontro al sovrapporsi di due attività che discendono da professionalità diverse, inevitabilmente configgenti nel rapporto che viene costituito fra servizio e affidato. Tornando ancora alla sentenza costituzionale n. 343/87, si assisterebbe alla scissione di ciò che la stessa considerava inscindibile: l’assistenza e il controllo.
Per concludere: è possibile ipotizzare che, per alcuni aspetti della esecuzione della misura alternativa, gli assistenti sociali operanti potrebbero essere convenientemente sussidiati da operatori di minore livello professionale, ma ciò dovrebbe avvenire all’interno della organizzazione degli UEPE, da parte di figure professionali diverse e subalterne agli assistenti sociali e gerarchicamente dipendenti dalla direzione degli Uffici. La soluzione della Polizia penitenziaria negli UEPE, profondamente diversa da quella ora detta, avrebbe l’ulteriore svantaggio di risolvere in modo sbagliato problemi reali e, conseguentemente, di ritardare (sine die) l’adozione di soluzioni corrette.
4. I risultati della misura alternativa dell’affidamento in prova sono molto positivi: una ricerca della Direzione generale esecuzione penale esterna del DAP.
Si tratta di una ricerca presentata nel corso del 2006. La stessa era mirata essenzialmente alla valutazione della recidiva in nuovi reati da parte dei fruitori di affidamento in prova negli anni seguiti alla conclusione della esecuzione dello stesso. Si dispone delle conclusioni generali. Si ricavano dalla stessa le notizie che seguono.
Tre punti fondamentali per conoscere la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, il suo andamento e la sua efficacia:
il numero;
le revoche;
la recidiva dopo la esecuzione della misura.
Il numero.
La crescita delle misure alternative è stata costante. In particolare, dal 1991, in cui le misure alternative erano complessivamente inferiori a 5.000, se ne avuta la decuplicazione, avendo raggiunto quasi quota 50.000 nel 2005 e precisamente: 32.000 affidamenti in prova, 14.000 detenzioni domiciliari; 3.500 semilibertà.
I casi di revoca.
Dai casi di revoca indicati nella ricerca si espungono quelli conseguenti alla intervenuta modifica della posizione giuridica, tale da determinare la cessazione (non si tratta di casi di revoca, ma di cessazione, come indicato dall’art. 51bis, O.P.). Precisato questo, si rileva che, dal 1999 al 2005, le revoche degli affidamenti in prova si sono mantenute a livelli inferiori o superiori al 4% del totale degli affidamenti concessi (dal 3, 85 del 1999 al 4, 64 del 2005).
Risultano anche le cause di revoca: quella ampiamente prevalente è l’andamento negativo della misura. E’ significativo che la revoca per commissione di nuovi reati durante la misura presenta valori irrisori: dallo 0,20% nel 1999 al massimo dello 0,29% nel 2000, scendendo allo 0,16% nel 2005).
I casi di recidiva
La ricerca della Direzione generale della esecuzione penale esterna del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, cui ci si riferisce, è stata condotta su 8.817 casi di affidamento, conclusi nel 1998 in tutta Italia. La stessa ha riscontrato che solo nel 19% dei casi vi era stata recidiva negli anni successivi al 1998 fino al 2005 e, quindi, per 7 anni. Parallelamente si è verificato, fra tutti gli scarcerati a fine pena nel 1998 (5772), non fruitori pertanto di misure alternative, che aveva recidivato il 68,45%. Incontestabile la maggiore efficacia delle misure alternative, con riferimento a questo indicatore decisivo di recupero rappresentato dalla mancata ricaduta nel reato degli affidati.
Se si scende, poi, ad una ulteriore analisi dei casi di recidiva si vedrà che i valori cambiano notevolmente nei casi di affidamenti in prova in casi particolari per tossicodipendenti. Per questi:
nei casi di ammessi dalla detenzione (che rappresentano solo il 4% del totale degli affidati), i casi di recidiva salgono al 42%;
nei casi di ammessi dalla libertà (che rappresentano il 22% del totale degli affidati), la recidiva riguarda il 30%.
Per gli affidamenti ordinari - 20% del totale dalla detenzione e 48% del totale dalla libertà - la percentuale di casi di recidiva è molto inferiore e contribuisce (insieme agli affidati militari: solo il 6% del totale, ma con recidiva del 5%) al valore finale riferito sopra: per i primi è il 21%, per i secondi (quasi la metà del totale complessivo) il 17%.
Da altra ricerca (MISURA, svolta dall’Università di Firenze insieme al PRAP e ai CSSA toscani, per i soli affidati di questa regione, nel 2004) risulta fra l’altro che, in un numero molto elevato di casi, i fruitori della misura alternativa venivano da storie giudiziarie con frequenti recidive.
Conclusioni.
I Centri di servizio sociale adulti (oggi UEPE), nel quadro del sistema delle misure alternative esistente, hanno funzionato in modo eccellente. Bisogna rilevare, poi, che, essendo stata espletata la ricerca sui casi conclusi nel 1998, a tale data i CSSA avevano ancora un organico molto modesto, elevato e quasi raddoppiato solo con la legge Simeone (27/5/1998, n. 165). Allo stato, pertanto, gli UEPE hanno migliorato la loro organizzazione e non hanno certamente bisogno che venga turbata da interventi organizzativi sbagliati, come quelli indicati ai n. 1, 2 e 3 di questo documento.
5. La precedente esperienza USA sull’abbandono della linea di servizio sociale nelle misure alternative.
Si dà atto che il nostro sistema di misure alternative è molto diverso da quello degli USA. Si resta, però, colpiti dalla precedente esperienza verificatasi in quel sistema proprio in relazione al progressivo abbandono della gestione di servizio sociale nelle misure alternative.
Ricavo la citazione che segue dal libro di Loic Wacquant ("Punire i poveri, Il nuovo governo della insicurezza sociale", Ed. Derive/approdi, 2006): "Trent’anni fa i parole officers uscivano dalle scuole per assistenti sociali e studiavano i fondamenti della psicologia e della sociologia. Oggi, mentre i casi da seguire sono raddoppiati, essi si formano in scuole di giustizia criminale dove apprendono le tecniche di polizia e l’uso delle armi da fuoco. La nuova filosofia panottica che li guida è sottolineata da questo slittamento semantico: i programmi di parole sono stati recentemente ribattezzati "liberazione sotto controllo" in Florida e "controllo di comunità" nello stato di Washington. Sotto il nuovo regime liberal-paternalista, infatti, l’individuo liberato con la condizionale non è tanto un ex-pregiudicato restituito alla libertà quanto un quasi prigioniero in attesa di un imminente ritorno dietro le sbarre"(pg. 144). E, in precedenza (pg. 143), si leggono alcuni dati: "Da "trampolino", la liberazione con la condizionale è diventata una "trappola": tra il 1985 e il 1997, il tasso degli individui in libertà vigilata che completano con successo la fase di "supervisione esterna" è crollato dal 70% al 44%. E nel giro di vent’anni, l’impatto di quelli ripresi e rispediti in carcere è raddoppiato, passando dal 16% di nuovi ingressi nel 1980 al 34% nel 1997".
Utile una precisazione: questi dati non riguardano la recidiva dopo il completamento della misura, ma riguardano gli insuccessi durante la esecuzione della misura, cioè quei casi che si sono esaminati sopra come revoche.
Non c’è bisogno di commento. C’è solo da prepararsi all’aumento del tasso di recidiva che seguirà la attuazione di un sistema di affidamento in prova congiunto al servizio sociale e ad organi di polizia.
(Sandro Margara)
Margara Alessandro- già presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, presidente della Fondazione Michelucci, autore di una proposta di riforma dell'Ordinamento penitenziario

venerdì 27 aprile 2007

COMUNICATI ADNKRONOS E ANSA

CARCERE: RINVIATO A MAGGIO INCONTRO DAP-SINDACATI SU CASO UEPE
Roma, 26 apr.-(Adnkronos)-E' stato rinviato a maggio l'incontro tra il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e i sindacati in merito alla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli uffici per l'esecuzione penale esterna(Uepe). La tensione tra i vari sindacati resta comunque alta, tra chi è favorevole e chi contrario alla proposta. Intanto sul sito degli assistenti sociali si moltiplicano in un blog nazionale le dichiarazioni, i comunicati e le critiche contro il progetto del ministro della giustizia Clemente Mastella.
Secondo la funzione pubblica della Cgil si tratta di una proposta "non praticabile" alla luce delle ingenti risorse che dovrebbero essere investite nell'operazione. Mentre il Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria si dice favorevole e accusa chi è contro la proposta di essere "miope". La polizia penitenziaria secondo il Sappe andrà a svolgere le stesse funzioni che oggi svolgono la polizia e i carabinieri " che così possono essere restituiti ai lororo compiti istituzionali". D'accordo con il sappe anche la UIL penitenziari. Inoltre il Seac(Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario) ribadisce le proprie perplessità in merito alla sperimentazione dell'inserimento della polizia penitenziaria.
Infine il presidente della conferenza nazionale Volontariato giustizia, Claudio Messina, critica" il provvedimento che prevede di utilizzare agenti come controllori dei detenuti in semilibertà o in affidamento".
26-aprile-07 11.21
CARCERI POLIZIA PENITENZIARIA NEGLI UEPE, UN BLOG PER IL DISSENSO
Roma, 24 aprile- (Adnkronos)-
Sul blog nazionale lanciato dagli assistenti sociali di Milano si moltiplicano le dichiarazioni, i comunicati e le critiche control'idea del Ministro della Giustizia Clemente Mastella di affidare anche alla polizia penitenziaria il controllo dei detenuti in esecuzione penale esterna al carcere. Nel blog in questi giorni è stato diffuso il comunicato della funzione pubblica della CGIL che esprime vivo disappunto per il provvedimento proposto dal Guardasigilli. Secondo i sindacalisti nazionali della CGIL i poliziotti penitenziari che dovrebbero essere coinvolti nella gestione concreta degli Uffici per l'esecuzione penale esterna(uepe), "non farebbero che sovrapporsi alle altre forze di polizia già impegnate normalmente sul territorio".Dallo stesso blog degli assistenti sociali si apprende che l'incontro tra le rappresentanze sindacali del settore e il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria previsto per questi giorni è stato rinviato a maggio. Da quanto si apprende è molto probabile che a maggio durante l'incontro i sindacati chiedano all'amministrazione e quindi al governo di ripensare il provvedimento mastella e comunque di bloccarne la sperimentazione che lo stesso ministro avrebbe voluto far partire da metà maggio. Si sono già dichiarati contrari al provvedimento gli assistenti sociali di latina, Massa, La Spezia, reggio Calabria, Cosenza, sassari, Bergamo, Milano, Genova, Imperia, savona, Perugia, alcuni capoluoghi della sardegna e della Sicilia.
(Mrg/Ct/Adnkrronos)24-apr-07 09:55
CARCERI: MISURE ALTERNATIVE, E' POLEMICA SU USO AGENTI(ANSA)-Roma, 24 apr-E' polemica sull'ipotesi d'inserimento, in via sperimentale, della polizia penitenziaria negli Uffici per l'esecuzione penale esterna(UEPE). La novità, prevista in un progetto del DAP e che dunque riguarda le misure alternative alla detenzione, divide gli stessi sindacati di categoria e non piace agli assistenti sociali. Il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Cnvg, Claudio Messina, esprime "perplessità e preoccupazione" sulla vicenda, spiegando che "la professionalità dimostrata finora dagli assistenti sociali rischia di infrangersi contro un prevedibile irrigidimento del servizio". Per Messina inoltre "va assolutamente salvaguardata la norma costituzionale che incoraggia la rieducazione ed il reinserimento, mettendo in discussione sistemi che non funzionano, come il carcere, piuttosto che stravolgere l'Uepe, la cui formula finora si è mostrata vincente". La vicenda divide al loro interno anche gli stessi sindacati di Polizia Penitenziaria. "E' un progetto che aggrava pesantemente le condizioni di vita e di lavoro negli istituti penitenziari, rese peraltro già estremamente difficoltose dalla forte carenza di personale" lamenta la CGIL polizia penitenziaria.
"Non comprendiamo queste resistenze a impiegare il corpo di polizia penitenziaria attivamente nelle misure alternative alla detenziaone- replica il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria), che è invece favorevole alla proposta. Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere". In linea con il Sappe la posizione della Uil penitenziari: occorre "ragionare in termini di allarme sociale e sicurezza pubblica. Affidare i controlli alla polizia penitenziaria non contrasta con la preziosa, insostituibile opera degli assistenti sociali. in fondo trattamento, rieducazione, reinserimento sociale e sicurezza non sono concetti tra loro alternativi".
24-apr-07 19.43

COORDINAMENTO NAZIONALE FP CGIL POLIZIA PENITENZIARIA

Roma, 24.04.2007
Progetto DAP Polizia penitenziaria negli UEPE
I MOTIVI DEL NOSTRO ATTUALE DISSENSO

Care/i colleghe/i,
come già saprete nei giorni scorsi il DAP ha presentato alle OO.SS. una bozza di Decreto Ministeriale avente per oggetto "l’intervento della Polizia penitenziaria nell’Esecuzione penale esterna". Progetto sul quale l’amministrazione ha già convocato un tavolo di confronto fissato per il prossimo 14 Maggio.
Sull’ipotesi prospettata, stante l’attuale precaria condizione vissuta dai lavoratori in pressoché tutti gli Istituti e Servizi penitenziari, il giudizio della nostra organizzazione non può che essere negativo, nella forma e nel merito. Proveremo a spiegare sinteticamente il perché di questo giudizio. Si tratta – a nostro parere - di un progetto approssimativo, incoerente e confuso perché sostanzialmente:
Interviene su un’attività - quella dell’esecuzione penale esterna - che nei prossimi mesi sarà attraversata da profondi processi di riorganizzazione, sia per l’attuazione della legge Meduri (si aspetta un nuovo regolamento di funzionamento), sia per le disposizioni contenute nella legge finanziaria 2007 (decreto di riorganizzazione dell’Amministrazione penitenziaria);
non tiene conto sia delle modifiche al codice penale che saranno apportate dalla Commissione Pisapia, che delle iniziative già formalmente assunte dal Ministro Mastella per l’introduzione di nuove misure penali quali, ad esempio, la messa alla prova;
è normativamente debole e lascia prefigurare, fin dalle premesse, il rischio di una sua facile impugnazione da parte delle altre Amministrazioni, oggi deputate al controllo delle misure alternative.
Ma soprattutto, è un progetto che, al di là delle per noi legittime e condivisibili aspirazioni professionali del personale interessato, aggrava pesantemente le condizioni di vita e di lavoro degli operatori della Polizia penitenziaria negli Istituti e Servizi penitenziari, rese peraltro già estremamente difficoltose dalla forte carenza di personale – soprattutto nelle sedi del centro nord del Paese - e della scarsità delle risorse a disposizione.
Sotto questo profilo si tratta – a giudizio della scrivente O.S. - di un progetto:
i cui sacrifici ricadrebbero interamente, come già per l’assunzione del Servizio Traduzioni e Piantonamenti nel 1995, sugli operatori della Polizia penitenziaria che operano all’interno degli Istituti e Servizi penitenziari. Nessun progetto di aumento dell’organico della Polizia penitenziaria, nessun concorso pubblico, soltanto la precisa volontà di sottrarre centinaia e centinai di poliziotti penitenziari dai servizi di istituto, già gravemente offesi da quelle politiche clientelari e irrazionali che nel passato hanno consentito ad una larga parte di questi di essere destinati a compiti non istituzionali. Con questa ipotesi, chi resterà a lavorare negli Istituti e Servizi penitenziari resterà sempre più solo, e con condizioni di lavoro ancora meno rispettose dei diritti contrattuali: più turni di lavoro, più posti di servizio, meno tutele, meno sicurezza, meno ferie e meno riposi;
che riapre una sacca enorme di possibili, prevedibili favoritismi. Sarebbe inevitabile la rincorsa – purtroppo già vissuta nel passato - alla creazione di un consenso governato con i soliti meccanismi e personaggi. Per essere ancora più chiari: secondo noi, ci saranno centinaia di posti offerti agli amici degli amici e negati a chi amici non ha;
nel quale, l’attività prevista per la Polizia penitenziaria è sminuita nel ruolo e nelle funzioni, finanche rispetto a quella oggi svolta dall’Arma dei Carabinieri e dalla Polizia di Stato, che assicurano questo servizio senza limitazioni territoriali e in una visione di autonomia rispetto alla magistratura di sorveglianza; il progetto, invece, propone l’offensiva limitazione delle attività di controllo della Polizia penitenziaria al solo ambito comunale e ciò, perché, così l’amministrazione "risparmia" – tra l’altro - finanche sull’indennità di missione dovuta ai poliziotti penitenziari per tale servizio;
che, aggiunto alle disastrose esperienze maturate con il GOM, smaschera una politica di gestione della Polizia penitenziaria che continua a non volersi occupare del lavoro negli Istituti e Servizi penitenziari, delle situazioni di degrado in cui operano i poliziotti penitenziari, dei diritti loro negati, della qualità del proprio lavoro, dei loro trattamenti ordinamentali, giuridici ed economici, fortemente squilibrati rispetto a quelli dei loro colleghi impiegati nei ruoli corrispondenti delle altre Forze di Polizia.
Sarà per noi, e non mancheremo di denunciarlo il prossimo 14 maggio, un vero e proprio gioco al massacro, un ulteriore bidone che si vuole tirare alla Polizia penitenziaria, alla quale demagogicamente si prova ad offrire un elemento di distrazione dalla sua condizione lavorativa e professionale solo per fuorviarne la coscienza. E a che prezzo!
Vogliamo peraltro affermare subito, anche per sgombrare il campo da false interpretazioni e inutili tentativi di strumentalizzazione sindacale, che non siamo affatto contrari ad un progetto di riorganizzazione complessiva dell’area penale esterna che apra nel futuro a prospettive diverse da quelle attuali per la Polizia penitenziaria.
Ben diverse da oggi, però, dovranno essere le condizioni che permettano di accompagnare questo nuovo impegno!
Ciò che ci vede fortemente contrari e determinati nel tentare di superare la proposta avanzata dai vertici del DAP, è che tutto ciò venga proposto senza un preventivo confronto sull’esigenza, con approssimazione, senza alcuna risorsa aggiuntiva e, soprattutto, che a pagare il conto salato di questo nuovo servizio siano i soliti sfortunati poliziotti che operano negli Istituti e Servizi penitenziari.
Per questo, inviteremo il DAP ad un momento di riflessione ulteriore, per arrivare ad un progetto organico, sostenibile dal punto di vista normativo, compatibile nelle risorse indispensabili e, soprattutto fattibile; un progetto, insomma, che non mandi allo sbaraglio la Polizia penitenziaria e che non diminuisca la già precaria condizione di vita e di lavoro degli uomini e delle donne che operano negli Istituti ma che, al contrario, ne valorizzi appieno la professionalità di cui già oggi è dotato.
Rivendicheremo con forza un’inversione delle priorità che il Ministro Mastella sembra aver unilateralmente definito: si deve ricominciare ad intervenire, con un piano straordinario di investimenti, proprio laddove si sostanzia la maggiore difficoltà degli operatori che lavorano in prima linea, ovvero sugli organici della Polizia penitenziaria, sulle dotazioni di sede, sulla formazione professionale, sulle risorse destinate a compensare il servizio di missione e il lavoro straordinario, sui mezzi e gli strumenti necessari all’espletamento in sicurezza dei compiti loro affidati, negli istituti, nelle sezioni detentive, nei reparti operativi e presso i Nuclei Traduzioni e Piantonamenti, ma anche sul Riordino delle Carriere e sulle intollerabili sperequazioni ordinamentali, giuridiche ed economiche in atto nel Comparto Sicurezza tra il personale di Polizia penitenziaria e quello delle altre Forze di Polizia.
Sono queste le priorità da affrontare subito e avviare a soluzione per la FP CGIL, perché coinvolgono direttamente i poliziotti penitenziari, i loro interessi, il loro difficile lavoro quotidiano, la famiglia, i diritti già oggi sovente messi terribilmente in discussione.
Allo stato attuale e, soprattutto, alle condizioni di estremo disagio operativo in cui oggi sono spesso costretti a lavorare i poliziotti penitenziari negli Istituti e Servizi (già 43000 i detenuti ristretti), non si può pensare di rispondere con l’imposizione di ulteriori insostenibili carichi di lavoro. Chi li dovrà garantire, visto che non ci saranno assunzioni, e risorse aggiuntive, a disposizione, se non i soliti pochi che rimarranno a lavorare negli Istituti, magari rinunciando completamente a riposi e ferie, esattamente come 15 anni fa?
Il Ministro Mastella dovrebbe, invece, dopo aver contribuito a trovare la soluzione per le questioni che oggi affliggono il personale di Polizia penitenziaria, farsi carico della situazione e imporre al Governo di assumere tutto il personale necessario, ottenere dal medesimo gli stanziamenti economici necessari a supportare una così dispendiosa attività, ad acquistare i mezzi e gli strumenti necessari per il servizio, a garantire per il pagamento puntuale di missioni, straordinari e quant’altro, a formare il personale e garantire pari opportunità per tutti, e solo dopo si potrà parlare del legittimo impiego del personale di Polizia penitenziaria presso gli UEPE.
Fino ad allora, però, pensiamo a migliorare le condizioni di lavoro di chi oggi già è costretto a fare 10 ore di servizio in pessime condizioni operative, addirittura in doppi turni, in strutture vecchie ed obsolete, spesso rinunciando ai propri diritti e alla propria vita privata.
Questo crediamo sia oggi il tema centrale della discussione.
Fraterni saluti
Il Coordinatore Nazionale FP CGIL
Polizia penitenziaria
Francesco Quinti

giovedì 26 aprile 2007

GARANTE DEI DETENUTI LAZIO

Polizia Penitenziaria: 9% degli agenti svolge attività improprie
Garante dei detenuti del Lazio, 25 aprile 2007Impiegati amministrativi, autisti o, addirittura, baristi negli spacci interni. È questa la sorte (più o meno voluta) di circa 3.500 agenti di polizia penitenziaria, circa il 9% dei 41.500 agenti in servizio su tutto il territorio nazionale. Dovrebbero svolgere il loro lavoro a contatto con i detenuti e invece si trovano ad essere impiegati in mansioni che non sono quelle messe a base della loro assunzione, amministrativi o attività di ristorazione. La denuncia - più volte in passato sollevata anche dai sindacati di categoria - è stata rilanciata dal Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni.Agenti di polizia penitenziaria sono distaccati al Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e nei Provveditorati Regionali, al Ministero della Giustizia, alla Corte dei Conti, al Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) e nei Tribunali di tutta Italia e non si riesce ad avere, tra l’altro, piante organiche chiare e carichi di lavoro del personale di polizia penitenziaria.Oltre gli innumerevoli servizi istituzionali già affidati al corpo di polizia penitenziaria quelli che, da ultimo, il Dap vuole affidare agli operatori sono impieghi nei reparti Gom (Gruppi Operativi Mobili), Uspev (Ufficio Sicurezza Personale e Vigilanza), polizia investigativa ed esecuzione penale esterna. Nei prossimi giorni le organizzazioni sindacali del personale si incontreranno con l’amministrazione Penitenziaria per la discussione di tali intenti."A condizioni date, con riferimento agli organici esistenti, ci si domanda chi lavorerà negli istituti di pena", ha detto il Garante dei detenuti della Regione Lazio Angiolo Marroni.Secondo gli ultimi dati, infatti, sul territorio nazionale il rapporto fra agenti e detenuti dovrebbe essere di 1 a 1. Ma, nella realtà dei fatti, le cose non stanno esattamente così. E fra malattie, ferie e turnazioni degli agenti a fare la differenza, come spesso sottolineato dai sindacati, è proprio il numero di agenti impiegato in attività che poco o nulla hanno a che fare con il mondo del carcere.Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni ha ricordato che questa situazione si riflette soprattutto sulla vita quotidiana del carcere. "Spesso ci siamo sentiti rispondere che non era possibile organizzare attività culturali e ricreative in carcere come corsi scolastici e di formazione professionale per mancanza di agenti - ha detto - Ma spesso ci sono difficoltà anche per far fare una telefonata ad un detenuto o per consentirgli di avere un colloquio. Una situazione, questa, che ovviamente danneggia pesantemente anche il resto degli agenti di polizia penitenziaria costretti spesso a turni di lavoro massacranti in un ambiente non facile come quello del carcere. E pensare che ci sono 3.500 agenti impegnati altrove. Mentre nel carcere di Cassino basterebbero solo 10 agenti in più per vivere una situazione di gran lunga migliore".

CARCERI: GARANTE LAZIO, PER 9% AGENTI MANSIONI NON APPROPRIATE
Roma, 25 apr. - (Adnkronos) - ''Impiegati amministrativi, autisti o, addirittura, baristi negli spacci interni. E' questa la sorte, piu' o meno voluta, di circa 3.500 agenti di polizia penitenziaria, circa il 9% dei 41.500 agenti in servizio su tutto il territorio nazionale. Dovrebbero svolgere il loro lavoro a contatto con i detenuti e invece si trovano ad essere impiegati in mansioni che non sono quelle messe a base della loro assunzione''. La denuncia, piu' volte in passato sollevata anche dai sindacati di categoria, e' stata rilanciata dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, l'avvocato Angiolo Marroni. ''Agenti di polizia penitenziaria - ha sottolineato il garante - sono distaccati al dipartimento per l'Amministrazione penitenziaria e nei provveditorati regionali, al ministero della Giustizia, alla Corte dei conti, al Consiglio superiore della magistratura e nei tribunali di tutta Italia e non si riesce ad avere, tra l'altro, piante organiche chiare e carichi di lavoro del personale di polizia penitenziaria. Oltre gli innumerevoli servizi istituzionali gia' affidati al corpo di polizia penitenziaria, quelli che il Dap (Dipartimento di amministrazione penitenziaria) vuole affidare agli operatori sono impieghi nei reparti Gom (Gruppi Operativi Mobili), Uspev (Ufficio Sicurezza Personale e Vigilanza), polizia investigativa ed esecuzione penale esterna. Nei prossimi giorni le organizzazioni sindacali del personale si incontreranno con l'amministrazione penitenziaria per la discussione di tali intenti. (segue) (Fto/Zn/Adnkronos)

COORDINAMENTO ASSISTENTI SOCIALI GIUSTIZIA

Gentile Marco MammuccariHo avuto modo di leggere il comunicato stampa Quale futuro per l’Esecuzione Penale Esterna ?" Quante ingiustificate paure per una riforma necessaria " (necessaria per chi?) pertanto Le scrivo per dirLe che se tanta gente all'interno degli UEPE,(diversi sono gli operatori iscritti anche alla CISL) ma anche fuori dagli UEPE si sta muovendo, forse non tutto è così scontato come appare.Lungi da noi e da chi con noi condivide questa mobilitazione voler in qualche modo sminuire il ruolo della polizia penitenziaria o non volere che la pol.pen si evolva ma se ciò deve avvenire, che avvenga senza mettere in crisi servizi che hanno una specificità rieducativa, risocializzante, di inclusione sociale, e di garanzia del condannato.L'evoluzione della pol. pen. secondo noi deve avvenire in altro modo e su altri fronti.Oggi le misure alternative hanno il vantaggio di raggiungere un buon risultato con un costo contenuto, siamo sicuri che con l'impiego della polizia penitenziaria, che non potrà mai sostituire in toto le FF.OO. sul territorio, si mantenga la stessa economicità o i costi aumenterebbero a dismisura?Questo come cittadini, oltre che come operatori, ci deve interessare!!!
Non posso infine non far presente, senza voler fare ad ogni costo polemica, che tutte le uscite pubbliche sia del Ministro della Giustizia sia dei sindacati della Pol. Pen prima della nostra mobilitazione abbiano ignorato che per 32 anni le misure alternative sono state gestite, e loro stessi dicono con buoni risultati, da un'unica professionalità, quella dell'assistente sociale (senza nulla togliere alle altre professionalità presenti all'interno degli UEPE) ammesso che da oggi si introduca la figura del poliziotto penitenziario, forse è un pò prematuro per dire che andrà tutto bene. L'efficacia di tale controllo è ancora tutto teorico e da dimostrare, mentre il sitema attuale è ormai rodato e comincia anche ad essere studiato attentamente sulla sua efficienza ed efficacia.Mi dica onestamente : se fosse capitato alla pol. pen. questo paradossale mancato riconoscimento voi sareste stati contenti e avreste accettato stoicamente di essere ignorati?Forse dobbiamo accettare che le ragioni di chi non può contare su grossi numeri sono meno valide?Forse, se ci fermiamo tutti a ragionare con maggiore obiettività e freddezza troveremmo soluzioni che vanno bene per tutti.cordialmente Anna Muschitiello (segretaria nazionale CASG). www.casg.it
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Gentile Eugenio Sarno

La ringrazio per aver inviato direttamente a questo indirizzo il comunicato stampa della UILPA, che del resto avevo già avuto modo di leggere, colgo l'occasione per dirLe che se tanta gente all'interno degli UEPE, ma anche fuori dagli UEPE si sta muovendo forse non tutto è così scontato come appare.

Lungi da noi e da chi con noi condivide questa mobilitazione voler in qualche modo sminuire il ruolo della polizia penitenziaria o non volere che la polpen si evolva e se ciò deve avvenire, che avvenga senza mettere in crisi servizi che hanno una specificità rieducativa, risocializzante, di inclusione sociale, e di garanzia del condannato.

L'evoluzione della pol. pen. secondo noi deve avvenire in altro modo e su altri fronti.

Oggi le misure alternative hanno il vantaggio di raggiungere un buon risultato con un costo contenuto, siamo sicuri che con l'impiego della polizia penitenziaria, che non potrà mai sostituire in toto le FF.OO. sul territorio, si mantenga la stessa economicità o i costi aumenterebbero a dismisura?

Questo come cittadini, oltre che come operatori, ci deve interessare.

Non posso infine non far presente, senza voler fare ad ogni costo polemica, che tutte le uscite pubbliche sia del Ministro della Giustizia sia dei sindacati della Pol. Pen prima della nostra mobilitazione abbiano ignorato che per 32 anni le misure alternative sono state gestite, e loro stessi dicono con buoni risultati, da un'unica professionalità, quella dell'assistente sociale; ammesso che da oggi si introduca la figura del poliziotto penitenziario, forse è un pò prematuro per dire che andrà tutto bene. l'efficacia di tale controllo è ancora tutto teorico e da dimostrare, mentre il sitema attuale è ormai rodato e comincia anche ad essere studiato attentamente sulla sua efficienza ed efficacia.

Mi dica onestamente : se fosse capitato alla pol. pen. questo paradossale mancato riconoscimento voi sareste stati contenti e avreste accettato stoicamente di essere ignorati?

Forse dobbiamo accettare che le ragioni di chi non può contare su grossi numeri sono meno valide?

Forse, se ci fermiamo tutti a ragionare con maggiore obiettività e freddezza troveremmo soluzioni che vanno bene per tutti.

cordialmente Anna Muschitiello (segretaria nazionale CASG)
www.casg.it
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Gentile Roberto Martinelli
La ringrazio per aver inviato direttamente a questo indirizzo il comunicato stampa del SAPPE, che del resto avevo già avuto modo di leggere, colgo l'occasione per dirLe che se tanta gente all'interno degli UEPE, ma anche fuori dagli UEPE si sta muovendo forse non tutto è così scontato come appare.
Lungi da noi e da chi con noi condivide questa mobilitazione voler in qualche modo sminuire il ruolo della polizia penitenziaria o non volere che la polpen si evolva e se ciò deve avvenire, che avvenga senza mettere in crisi servizi che hanno una specificità rieducativa, risocializzante, di inclusione sociale, e di garanzia del condannato.L'evoluzione della pol. pen. secondo noi deve avvenire in altro modo e su altri fronti.
Oggi le misure alternative hanno il vantaggio di raggiungere un buon risultato con un costo contenuto, siamo sicuri che con l'impiego della polizia penitenziaria, che non potrà mai sostituire in toto le FF.OO. sul territorio, si mantenga la stessa economicità o i costi aumenterebbero a dismisura?Questo come cittadini, oltre che come operatori, ci deve interessare.Non posso infine non far presente, senza voler fare ad ogni costo polemica, che tutte le uscite pubbliche sia del Ministro della Giustizia sia dei sindacati della Pol. Pen prima della nostra mobilitazione abbiano ignorato che per 32 anni le misure alternative sono state gestite, e loro stessi dicono con buoni risultati, da un'unica professionalità, quella dell'assistente sociale; ammesso che da oggi si introduca la figura del poliziotto penitenziario, forse è un pò prematuro per dire che andrà tutto bene. l'efficacia di tale controllo è ancora tutto teorico e da dimostrare, mentre il sitema attuale è ormai rodato e comincia anche ad essere studiato attentamente sulla sua efficienza ed efficacia.
Mi dica onestamente : se fosse capitato alla pol. pen. questo paradossale mancato riconoscimento voi sareste stati contenti e avreste accettato stoicamente di essere ignorati?Forse dobbiamo accettare che le ragioni di chi non può contare su grossi numeri sono meno valide?Forse, se ci fermiamo tutti a ragionare con maggiore obiettività e freddezza troveremmo soluzioni che vanno bene per tutti.
Cordialmente Anna Muschitiello (segretaria nazionale CASG)
www.casg.it

UIL-PENITENZIARI


COMUNICATO STAMPA - 24 aprile 2007
Polizia Penitenziaria negli U.E.P.E.
La UIL : Necessaria per la pubblica sicurezza
“ Francamente non riesco a capire il senso della polemica . L’istituzione dei Nuclei di Verifica del Corpo di polizia penitenziaria presso gli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna (UEPE), in via sperimentale, è una delle condizioni necessarie per l’ampliamento dell’uso delle misure alternative alla detenzione “.
A dichiararlo il Segretario Generale della UIL P.A.-Penitenziari, Eugenio SARNO, che non condivide le preoccupazioni espresse dagli assistenti sociali dell’UEPE di Milano e di alcuni sindacati di categoria : “ Fermo restando la libertà di ognuno di esprimere le proprie idee credo che alimentare polemiche in questo momento sia assolutamente fuori luogo e privo di ogni senso logico. Non vorrei che, ancora una volta, emergano pregiudizi di un certo ambiente da sempre ostile a tutto ciò che appartiene alla sfera della sicurezza”.
“E’ troppo facile invocare un maggior ricorso a misure alternative alla detenzione senza prevedere gli idonei controlli alle persone ammesse al regime di esecuzione penale esterna – continua Eugenio SARNO –. La UIL ha molto apprezzato questo orientamento del Governo e del Ministro Mastella, che potrebbe contribuire a stabilizzare le presenze detentive a livelli sopportabili. Non dimentichiamo le condizioni delle carceri prima dell’indulto ….. “
Il sindacalista della UIL si sofferma sugli aspetti della proposta e della protesta : “ Bisogna ragionare anche in termini di allarme sociale e sicurezza pubblica. Non ci pare che affidare i controlli alla polizia penitenziaria contrasti con la preziosa, insostituibile opera degli assistenti sociali. Anzi ! Non rappresenta assolutamente una indebita ingerenza piuttosto una puntuale applicazione delle attribuzioni in materia conferite dalla legge al Corpo di polizia penitenziaria. Certo il problema degli organici va affrontato con urgenza e in maniera adeguata, ma non può essere l’alibi per affondare un progetto che, in piena attuazione, contribuirà significativamente al recupero di centinaia di unità delle altre forze di polizia per destinarli ai loro compiti istituzionali. Ne si può parlare di sovrapposizione con altre forze di polizia in quanto è previsto un Coordinamento con il Ministero dell’Interno. In fondo trattamento, rieducazione , reinserimento sociale e sicurezza non sono concetti tra loro alternativi. Ognuno, quindi, faccia il proprio mestiere”.
Per la UIL-Penitenziari, dunque, il progetto è utile e va sostenuto “ Il DAP ha già convocato le OO.SS. per un opportuno confronto sulla materia. Sono certo che il tavolo dirimerà dubbi e polemiche. Prendo atto delle perplessità espresse da una componente dell’Amministrazione Penitenziaria ma per quanto ci riguarda il progetto è valido e si deve lavorare per una sua realizzazione, anche in via sperimentale. E’ una occasione che si offre ai 45.000 appartenenti al Corpo e che non va sprecata - conclude SARNO – .
Il Corpo ha la legittimità, la potenzialità e la professionalità per garantire i controlli e, quindi, la pubblica sicurezza. Checché ne pensano alcuni assistenti sociali. Almeno che non vogliano i poliziotti penitenziari solo come loro autisti o passacarte. Peggio ancora relegarli all’atavico ruolo di carcerieri che aprono e chiudono i cancelli in barba alla riforma del 1990…. ”
SARNO chiude con un appello al Ministro Mastella : “ Dopo anni di indifferenza e insensibilità finalmente un Ministro della Giustizia che mostra concreta attenzione verso il Corpo e i suoi appartenenti. Sono certo che non fermerà la sua apprezzata opera solo in ragioni di sterili, strumentali, corporative, anacronistiche e pregiudizievoli posizioni assunte da chi ha sempre frenato, in contiguità con un certo ambiente politico, l’evoluzione, e la visibilità, del Corpo di polizia penitenziaria”. BOZZA UIL

SPAZIO: PENSIERI LIBERI

Intervento di Nasone Mario (direttore UEPE Reggio Calabria) su documento firmato da alcuni direttori di UEPE e redatto da Ghetti Chiara, che si ringrazia per averne autorizzato la pubblicazione.
Condivido solo in parte il documento. Continuo a dissentire sulla competenza della p.p. a fare il controllo, anche alle dipendenze del Direttore. Sono dell'idea che il controllo sugli spazi e i tempi non va confuso con i compiti del servizio sociale e va nettamente distinto per evitare di mettere in crisi il rapporto fiduciario con l'utenza. Questo tipo di controllo può continuare essere esercitato dalle forze dell'ordine presenti in modo capillare sul territorio prevedendo ulteriori forme di coordinamento e intese con gli UEPE anche utilizzando gli spazi previsti dall'art.3 della 154 Sono dell'idea che questa sperimentazione rischia di mettere in crisi una esperienza positiva che ha bisogno di altri tipi di interventi e di implementazioni e comunque la questione del futuro della e.p.e e quindi di questa sperimentazione va affronatata globalmente.
saluti Mario Nasone
www.casg.it

ASSISTENTI SOCIALI UEPE EMILIA ROMAGNA

Al Ministro della GiustiziaOn. C. Mastella
Al Sottosegretario Ministero GiustiziaProf. L. Manconi
Al Capo del D.A.P.Pres. E. Ferrara
Ai Vice Capi del DAPDr. E. Di SommaDr. A. D’Alterio
Al Direttore Generale dell’EPEDr. R. Turrini Vita
Al Direttore Generale del Personale e della FormazioneDr. M. De Pascalis
All’Ufficio per le relazioni SindacaliD.ssa P. Conte
p.c. Alle Segreterie Regionali e Comprensoriali F.P. CGIL
Al Coordinamento Nazionale Assistenti Sociali Giustizia
All’Ordine Nazionale e Regionale Assistenti Sociali
Polizia Penitenziaria all’interno degli U.E.P.E.
Ovvero come la smilitarizzazione del corpo degli Agenti di Custodia-auspicata e perseguita da tutti gli operatori e dalle OO.SS.- si traduce oggi nella militarizzazione degli U.E.P.E. (ex CSSA) ovvero come le rivendicazioni e richieste massimaliste della Pol. Pen. non solo sono state assunte dall’Amministrazione Penitenziaria ma trovano spazio anche all’interno delle Organizzazioni sindacali.L’ipotesi che la Polizia penitenziaria sia assegnata agli UEPE per adempiere a funzioni di controllo ora espletate dagli AA. SS. o per la "sicurezza" dei servizi (ci si chiede se oggi corra più rischi un UEPE o un negozio di parrucchiera, una farmacia, una banca, un bar) rappresenta un ulteriore e forte elemento di disorientamento.Sul territorio operano già la Polizia di Stato, i Carabinieri e la Guardia di Finanza.I primi due in particolare, per compiti di prevenzione loro assegnati, sono direttamente interessati a conoscere "i pregiudicati" ammessi a fruire delle Misure Alternative.Il giornalista Piero Ottone raccontava, anni fa, su un quotidiano che chi si muove in mare con una barca può subire controlli da ben 3 corpi di polizia guardiacostiera.Vogliamo che in terra siano 4 (quattro) ?I bisogni di sicurezza di tutti i cittadini non trovano risposta nella sola presenza di Polizia, Penitenziaria o no.La sicurezza di un territorio è garantita piuttosto da una molteplicità di risorse umane e sociali che insieme concorrono al sostegno delle persone più fragili ed emarginate e dall’affermazione della legalità.Statisticamente le persone condannate appartengono alla c.d. utenza debole (tossicodipendenti, malati psichici, emigrati extraeuropei, persone con modeste condizioni economiche, culturali, con difficoltà di inserimento lavorativo, con deprivazioni affettive e relazionali) che autonomamente non sono in grado di far fronte alle loro esigenze.Per questi cittadini, titolari quindi di diritti e di doveri comuni a tutte le persone, che, in carico all’UEPE, scontano una pena e presentano difficoltà di autodeterminazione, di relazione, di autonomia, di comunicazione ecc.la risposta al bisogno occorre ogni volta cercarla, costruirla, inventarla con la fattiva collaborazione dei servizi territoriali, del privato sociale e di tutte le espressioni della società civile.Tra coloro che scontano la condanna in Misura Alternativa vi è poi una tipologia di utenti costituita da cittadini che hanno commesso reati molti anni or sono (5, 6, 10 anni) che hanno modificato autonomamente il loro stile di vita pregresso e non manifestano particolari problemi di adattamento sociale.Solo una modestissima percentuale è costituita da persone che hanno interiorizzato una scelta di vita delinquenziale.Dalle statistiche pubblicate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria si legge che a livello nazionale nel 2004, dei 32.000 fruitori della Misura Alternativa dell’Affidamento in prova al Servizio sociale i casi revocati per andamento negativo si sono attestati al 3,85% e le revoche per commissioni di nuovi reati durante la M.A. allo 0,17% .Sempre a livello nazionale, nel 2005, su 31.958 Affidati in prova al servizio sociale solo lo 0,16% ha commesso reati nel corso delle Misure Alternative e il 4,34% ha avuto un andamento negativo nel corso della Misura alternativa.Altrettanto eccezionali sono i risultati di recenti ricerche sulla recidiva che registrano tassi molto bassi fra coloro che hanno eseguito Misure Alternative alla Detenzione.Gli AA.SS. in servizio, pari a sole 1140 unità, presso gli UEPE (ex CSSA) hanno seguito nel 2004, a livello nazionale, 50.000 Misure Alternative circa (32.000 Affidati in prova, 3500 Semiliberi, 14.600 Detenuti Domiciliari).Invece di sollevare inesistenti problemi di allarme sociale (che vanno ricercati in ben altri ambiti) occorrerebbe una puntuale, costante, corretta, buona informazione sui risultati fin’ora conseguiti.Siamo al paradosso, avvallato da una maggioranza politica di centro-sinistra, che si proceda al cambiamento/stravolgimento di un sistema che, con pochissime risorse umane ed economiche a disposizione, ha funzionato bene per decenni.In questo particolare momento storico nel quale sembrano realizzarsi modifiche sostanziali all’assetto della giustizia il dato certo e incontrovertibile è che la proposta di inserire la Pol. Pen. negli UEPE è impraticabile a più livelli:a livello professionale le competenze degli AA.SS. non risultano compatibili ed integrabili con quelle di Pol. Penit.La professionalità è un bene in sé se ciascuno esplica i propri compiti istituzionali senza confonderli o mischiarli con quelli degli altri.Nell’ottica di una politica generale che la Pol. Pen. si occupi delle Misure Alternative è come costruire un recinto nel quale circoscrivere, separare, coloro che scontano una pena fuori dal carcere.Agire sul disagio in soli termini di Polizia non significa governare le reazioni sociali sul disagio ma riprodurre politiche di ordine pubblico che sono l’esatto opposto delle scelte sociali che aiutano le persone a determinarsi e a misurarsi col principio di responsabilità.A livello economico come cittadini ci si chiede anche se l’investimento finanziario per radicare sul territorio la Pol. Pen. sia un costo compatibile con i tagli di spese a cui siamo sottoposti oggi.E’ in questo settore che verrà speso una parte consistente del già misero "tesoretto"?Siamo continuamente richiamati dalla Commissione Ue per il nostro Deficit e Debito Pubblico record, il più alto d’Europa e si da spazio, con compiacimento e rilassatezza, a richieste corporative di settori della Pol. Pen., che perseguono la loro"visibilità esterna" proponendo la duplicazione di modelli operativi che ricalcano modelli e logiche carcerarie o custodialistiche, da applicare a cittadini che nella maggioranza dei casi accedono alle Misure Alternative alla detenzione direttamente dalla libertà, senza transitare dal carcere?Per precisare meglio il nostro punto di vista circa il ruolo della Polizia Penitenziaria ed evitare equivoci chiediamo che questa sia valorizzata a pieno nella sua specifica professionalità ben consapevoli che la collocazione tout court ad altre funzioni ("verifica del rispetto degli obblighi di frequenza in determinati luoghi e tempi imposti alle persone ammesse alle Misure Alternative"?) ingenera solo conflitti di ruolo e competenze, duplicazione di apparati e funzioni rigide tipiche del carcere.Come cittadini, lavoratori, professionisti del settore che hanno sempre sottolineato l’esigenza di un reale processo di cambiamento organizzativo e culturale del sistema penale e penitenziario diciamo NO a questo nuovo scenario regressivo e involutivo.Nel corso dell’Assemblea Regionale Sindacale degli UEPE dell’Emilia Romagna organizzata il 18.4.07 presso la FP CGIL Bologna gli AA.SS. presenti hanno condiviso la richiesta di immediata sospensione della bozza del D.M. concernente l’inserimento della Polizia Penitenziaria negli U.E.P.E. e l’istituzione di una commissione mista (professionale e sindacale) che esami le reali problematiche organizzative ed operative che interessano Codesti Uffici nel rispetto della normativa vigente e delle risultanze del lavoro già svolto dalla Commissione investita di predisporre il nuovo regolamento degli UEPE.
AA.SS. UEPE Emilia Romagna presenti all’Assemblea Regionale Sindacale del 18.4.07

CONTROLLO E AIUTO- M.R.PARRUTI (MAG. SORV. PESCARA)

Una funzione di controllo e aiuto nelle misure alternative
di Maria Rosaria Parruti (Magistrato di Sorveglianza - Pescara)

Ristretti Orizzonti, 25 aprile 2007

Ci si potrebbe porre questa domanda: l’assistente sociale che tratta il caso ad esempio, del singolo affidato, può esercitare contemporaneamente la funzione di controllo ed aiuto che il mandato istituzionale rimette alla sua competenza, ovvero l’assolvimento delle funzioni di solo aiuto gli impedisce una qualsiasi azione di controllo?
La distinzione delle due funzioni in realtà, riflette un modo astratto di considerare il problema: infatti, se si ha riguardo alla pratica operativa, risulta evidente che nei confronti di una persona che sia in difficoltà nell’esercitare un controllo efficiente sul proprio comportamento, (e che quindi va aiutata in primis nel rispetto delle prescrizioni, o meglio, a partire dal rispetto delle prescrizioni dettategli come condizione di libertà), l’aiuto offerto non può fare a meno di comprendere anche la verifica delle difficoltà che la persona ha in rapporto agli obblighi di comportamento assunti, e la valutazione dei problemi che vi sono connessi.
La prescrizione ed il suo controllo diventa occasione di approfondimento e di conoscenza del caso. Nel momento, cioè, in cui l’assistente sociale controlla qualcuno non può non farlo alla luce di quello che lui stesso è, e dunque analizzando le eventuali difficoltà a rispettare gli obblighi, fornendo dunque, in questo la sua professionalità specifica.
Ciò che conta dunque, è che tale controllo non si esaurisca nella contestazione dell’infrazione eventualmente commessa, ma rappresenti il punto di avvio o comunque una tappa di un percorso diretto a sostenere il condannato nel rispetto della realtà che lo riguarda e nella ricerca delle soluzioni più adatte.
Si comprende bene come in questa azione l’assistente sociale svolge un ruolo di grande significato, (controllo è anche quello di polizia ma dai contenuti tutti diversi) non solo per i contenuti tecnici che assicura nel corso del trattamento, ma anche per la possibilità che ha di comunicare una considerazione positiva nei confronti del condannato e delle sue capacità di "rilancio", sempre che questi affronti il programma trattamentale con autentica accettazione e rispetto.
A questo punto è bene tener presente la norma principe dell’esecuzione penale e cioè l’art. 27 della Cost. cui le singole misure vogliono dare attuazione, laddove chiarisce che le pene "tendono alla rieducazione del condannato". La pena nel comune sentire e spesso dagli stessi operatori penitenziari è vista come qualcosa di assolutamente e radicalmente negativo, nel quale non c’è nulla di positivo che vada salvato. La funzione della pena invece, nel nostro sistema non è pura retribuzione non si esaurisce nel puro contro bilanciamento di una colpa, ma deve tendere a mettere in moto la libertà del colpevole.
La norma usa il verbo "tendere", proprio perché la rieducazione non ha nulla di automatico, passa attraverso la libera decisione del colpevole ed è un percorso consapevole che il condannato se vuole, deve accettare ad al quale deve partecipare con tutta la sua libertà.
Si parla a proposito dei magistrati di sorveglianza di giudici che lavorano su una scommessa sul futuro… proprio perché c’è dentro, è in ballo tutto il rischio della libertà del condannato. (Capite che quando si parla di libertà è non soltanto di movimento, ma anche di scelta).
A questa funzione della pena occorre però, educare anche la società che spesso vede la sanzione come una giusta vendetta da applicare al colpevole, poiché non dobbiamo mai dimenticare come è stato autorevolmente detto (da Silvia Giacomoni) che il carcere e dunque la pena, è pena per certi gesti compiuti che non andavano compiuti, ma la persona non è mai tutta nei gesti che compie, buoni o cattivi che siano.
Occorre comprendere noi stessi e far comprendere poi alla società civile che questa attenzione al cambiamento ed all’emenda del colpevole non è solo nell’interesse del colpevole, ma è un’attenzione al bene comune, perché la società rieducando recupera un membro alla vita sociale, evitando così ulteriori devianze e costi futuri ed è bene anche per la persona offesa che nella solidarietà sociale e nel recupero del condannato può trovare solo ed adeguato risarcimento anche in termini di sicurezza sociale.
Fallace dunque, è in questo senso la contrapposizione tra rieducazione e prevenzione (la tutela del colpevole non è altra cosa rispetto alla tutela della vittima e della società intera): di solito pensiamo che il creditore dell’obbligo rieducativo sia il soggetto che ha commesso il reato, mentre il creditore principale dell’attività rieducativa è proprio la società, poiché dall’attività di rieducazione, seria effettiva ed adeguata, trarrà il beneficio della diminuzione del crimine.
Nel tempo si sono succedute disposizioni che hanno esteso la possibilità di accesso a misure extramurarie (proprio in attuazione di questa tendenza a negare l’afflittività della pena e ad uscire dal carcere): basti pensare alla legge Simeone che già dal 1998, che ha previsto che salvo il caso dei delitti più gravi e delle pene superiori a tre anni, la pena vada sospesa.
Disposizione in tal senso è stato il cosiddetto "indultino" previsto dalla legge 207 del 2003, così come la legge n. 49 del 2006 che ha previsto che il magistrato di sorveglianza possa concedere la sospensione della pena e l’affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari a coloro che sono detenuti, prima e nelle more del giudizio innanzi al Tribunale di Sorveglianza, allargando peraltro, la possibilità di concessione della misura di cui all’art. 94 d.p.r. 309-90 anche a coloro che hanno un residuo pena di anni sei di reclusione per i reati cosiddetti non ostativi, a da ultimo nella stessa direzione è l’indulto concesso con legge n. 241 del 2006. Ma il problema non è tanto uscire a tutti costi dal carcere, ma è comprendere cosa è il carcere stesso e la sua funzione.
Dopo aver passato un po’ di ore in carcere o comunque a contatto con chi ha una pena da scontare, ci si rende conto che occorre in questo percorso innanzitutto, che il colpevole sia aiutato ad una presa di coscienza della colpa commessa, poiché è invece, normale sentire l’accaduto, il crimine commesso e la stessa espiazione come un’ingiustizia subita da altri (vittima del reato, giudice, operatori penitenziari, vita stessa).
Invece, solo la presa di coscienza della colpa può far rendere conto dell’errore commesso e della necessità di un cambiamento (lo si scorge in tutti coloro che si sono "rieducati"), e dunque disporre ad un’espiazione che sia percepita come tempo nel quale recuperare quanto con il crimine si è rotto o incrinato
Ed in secondo luogo, per dare vita e concretezza al nostro concetto di rieducazione, occorre accompagnare il condannato nel recupero dei suoi affetti e della sua capacità di impegnarsi attraverso il lavoro, peraltro così scarso e difficile da reperire, così da poter ritrovare il gusto di interagire con la realtà (tutte le attività di cosiddetto reinserimento sono volte a questo).
Non dimentichiamo infatti, che chi ha commesso un reato, sia contro il patrimonio che contro la persona, ha violato il rapporto corretto con il reale che dunque, deve essere aiutato a vivere, per un vero recupero e reinserimento nel tessuto sociale.
Dico queste cose, proprio perché è importante che coloro che entrano a contatto con il condannato ( operatori penitenziari o assistenti sociali o magistrati) concorrano nel favorire questa accettazione in primo luogo, della colpa commessa e dunque della giustizia dell’espiazione per una vera riappropriazione del reale e del suo senso. Rieducazione dunque, come presa di coscienza della assoluta necessità del cambiamento. Centrale dunque, è la necessità che il condannato incontri persone positive, impegnate nel loro ambito.
A questo fine, rispondendo alla domanda che ci siamo fatti, anzi appare a dir poco opportuno che le funzioni di controllo ed aiuto siano svolte in modo integrato da un unico operatore, poiché solo in un processo unitario del genere, il condannato può sperimentare come l’autorità che esercita il controllo non lo svolga in modo repressivo e formale, ma dimostrando nei fatti l’intenzione di fornire un aiuto di fronte alle difficoltà incontrate, a cominciare da quelle che sono determinate da una inadeguata capacità di autocontrollo rispetto alle prescrizioni da osservare.
L’attività di controllo dunque, non è mera rilevazione e contestazione dell’infrazione, ma costituisce anche un’occasione per vedersi in azione, e cercare possibili soluzioni, rispetto alle quali il condannato è chiamato ad assumere un atteggiamento costruttivo.

COMUNICATO STAMPA SEAC

ripensare l’intera materia con l’apporto di tutte le parti in gioco, volontariato compreso.
Polizia Penitenziaria negli Uepe: Seac; siamo m
olto perplessi

Comunicato stampa, 24 aprile 2007

Il Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) desidera ribadire le proprie perplessità in merito alla sperimentazione relativa all’inserimento della Polizia Penitenziaria negli Uepe.
Già dal nostro 38° Convegno nazionale sui 30 anni della riforma penitenziaria era uscita una posizione critica verso la Legge 154/2005 (Legge Meduri) che ha modificato la denominazione dei "Centri di Servizio Sociale per Adulti" in "Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna". Chiaramente il cambio della definizione non ci era sembrata una mera riformulazione lessicale, ma un disegno più vasto di ristrutturazione di questi uffici che, in questo arco di tempo dalla riforma, hanno dato prova di saper lavorare con capacità e competenza nelle difficili situazioni relative all’esecuzione esterna della pena, considerate anche le storiche scarse risorse previste per le misure alternative.
L’integrazione con il territorio, l’individualizzazione del progetto riabilitativo, la messa in rete delle risorse, la centralità posta sulla restituzione della responsabilità ai soggetti in merito al proprio percorso risocializzante attraverso la costante relazione con gli operatori sono da sempre elementi costitutivi di questi servizi che hanno contribuito in modo sostanziale a far si che l’esecuzione penale esterna determini meno recidive rispetto le carcerazioni.
Sono di recente pubblicazione ben sei ricerche del Ministero della Giustizia e del Dap che smentiscono che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è stato detenuto avviene sette volte su dieci. Ben diverse sono invece le percentuali (2 su 10) di persone che hanno usufruito delle misure alternative. Non sarà forse perché un detenuto in esecuzione penale esterna può godere di quei diritti fondamentali (la salute, gli affetti, la possibilità di lavorare, di essere ascoltato quando ne ha bisogno) che in carcere sono invece così impraticabili?
Queste ricerche dicono che le misure alternative sono in netta crescita e che la loro qualità è in grande miglioramento. Le revoche dei provvedimenti di esecuzione esterna incidono solo per il 5%. Quindi, una strategia vincente. Sicuramente migliorabile, come tutto.
Noi riteniamo però che la presenza della Polizia Penitenziaria negli Uepe non costituisca un valore aggiunto alla riabilitazione, e introduca invece elementi di criticità in una idea di servizio nato come "sociale" e che trae la sua efficacia dall’essere e rimanere tale. L’elevata spesa di questa operazione potrebbe essere diversamente destinata in risorse che potenzino i fattori necessari per il recupero; senza questi fattori, le dichiarazioni riferite alla sicurezza come controllo sociale rischiano di risultare mera demagogia. Sappiamo che vere politiche per la sicurezza possono trovare fondamento solo su vere risposte sociali.
Le risorse andrebbero inoltre impiegate per rafforzare gli Uepe dotandoli degli organici necessari a garantire il miglioramento di efficienza di un servizio che ha accumulato negli anni esperienze consolidate di buone prassi di lavoro. Una coraggiosa inversione di rotta, che distribuisca le risorse in questa ottica, non può che costituire un investimento per il futuro in termini di vere risposte alla popolazione soggetta a misure penali.
Il potenziamento dell’area della detenzione sociale, aumentato negli ultimi anni e che comprende in buona parte tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichici o in stato di abbandono sociale richiede risposte di sostegno, affinché queste situazioni critiche non trovino il carcere come unico medicamento ma risposte adeguate nei servizi territoriali (con particolare riferimento alle detenzioni e alle dismissioni negli Opg). Le drammatiche cifre del sovraffollamento, deflazionate con l’approvazione dell’indulto, vanno prevenute nella loro recidiva: in assenza di politiche di riforma penale, è solo questione di tempo (non molto) affinché si ritorni all’invivibile ed illegale situazione precedente.
È quindi il momento di privilegiare la strada delle misure alternative alla detenzione. I dibattiti sui concetti di zero tolerance, sulla sicurezza e sul sovraffollamento delle carceri, oltre a ventilare soluzioni impossibili o realizzabili in tempi lunghissimi (come nel caso di nuovi istituti) stravolgono la questione portandola su un piano ideologico e demagogico; esistono già delle soluzioni migliori e i dato lo confermano; si tratta solo di praticarle.
Il passaggio dalla mera assistenza al riconoscimento dei diritti del soggetto è un presupposto ormai metabolizzato ed elaborato dal Volontariato penitenziario, la cui azione si ispira, oltre ad una visione globale della persona del condannato, ad una cultura di cittadinanza attiva senza la quale non si rendono possibili veri cambiamenti istituzionali.
Le nostre motivazioni all’impegno trovano sostanza nell’agire quotidiano, nell’incontro con le persone ristrette, nell’auspicio di una esecuzione penale efficace, nella fiducia che i processi di trasformazione annunciati (la decarcerizzazione della madri con figli, la riforma del Codice Penale, il superamento degli Opg, il passaggio alla sanità pubblica) non siano frenati da azioni involutive sul piano delle politiche penali, ma diventino pietre miliari indicatrici di strade di legalità e di giustizia.

Elisabetta Laganà, Presidente SEAC
(Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario)

CNVG

Polizia Penitenziaria in Uepe: Cnvg; sospendere sperimentazione

Redattore Sociale, 24 aprile 2007

Il presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, Claudio Messina, critica il provvedimento che prevede di utilizzare agenti come controllori dei detenuti in semilibertà o affidamento.
Il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, Claudio Messina, a nome dei circa 8.000 volontari rappresentati dalla Cnvg, esprime serie perplessità e forte preoccupazione in merito al decreto con cui il Ministro della Giustizia si accinge a istituire, in via sperimentale, commissariati di polizia penitenziaria presso alcuni Uffici per l’esecuzione penale esterna.
Se è vero che la trentennale esperienza dei Centri servizi sociali Adulti Cssa - divenuti Uepe con la legge Meduri 154/2006 - ha dimostrato la validità indiscussa delle misure alternative alla detenzione nell’abbattere notevolmente la recidiva dei condannati e quindi la necessità di incrementare tali misure, non si capisce perché si voglia intensificare il controllo di polizia già ampiamente svolto dalle forze dell’ordine. La funzione di controllo, rispetto a quella di assistenza sociale, rischia così di diventare essenzialmente sanzionatoria di comportamenti, anche non gravi, dovuti alle obiettive difficoltà che la persona semilibera o affidata incontra nel dover sottostare ad obblighi restrittivi, pur senza commettere reati.
Si teme che la militarizzazione del servizio di controllo possa né più né meno ricalcare il modello carcere, ovvero determinare di fatto una dicotomia tra la direzione dell’ufficio e la polizia penitenziaria, che alla ricerca di modelli trattamentali più idonei ai singoli casi può drasticamente opporre ragioni di sicurezza, difficilmente contestabili, di fronte a un pregiudizio diffuso e a
un allarme sociale non sempre giustificato. Desta stupore soprattutto l’ampia discrezionalità che viene riconosciuta al direttore dell’Ufficio (art. 1, capo 2 del decreto) nel disporre controlli anche in assenza di specifiche prescrizioni da parte del magistrato o del tribunale di sorveglianza.
Infine, la professionalità dimostrata sinora dagli assistenti sociali - e che ha garantito il successo della stragrande maggioranza dei casi seguiti, come risulta dai dati statistici ufficiali - rischia d’infrangersi contro un prevedibile irrigidimento del servizio, anche se si parla di riqualificazione professionale degli agenti, sottratti fra l’altro agli istituti penitenziari dove si continua a lamentare carenza di organico.
A nostro avviso va assolutamente salvaguardata la norma costituzionale che incoraggia la rieducazione e il reinserimento, mettendo in discussione sistemi che non funzionano, come il carcere, piuttosto che stravolgere gli Uepe, la cui formula finora si è mostrata vincente. Chiediamo pertanto di sospendere la sperimentazione e di ripensare l’intera materia con l’apporto di tutte le parti in gioco, volontariato compreso.

SEAC


COORDINAMENTO ENTI E ASSOCIAZIONI
DI VOLONTARIATO PENITENZIARIO – SEAC


tel. 338.9489515 e-mail volontariatoseac@tiscalinet.it
via Aurelia, 773- Roma


Al Ministro della Giustizia
Sen. Clemente MastellaAl Sottosegretario di Statoper la GiustiziaDott. Luigi ManconiVia Arenula n.70 – 00186 R O M AAl Capo del D.A.P.Dott. Ettore Ferrara Largo Luigi Daga n.2 00164 R O M AAl Vice Capo del D.A.P.Dott. Emilio Di SommaAl Vice Capo del D.A.P.Dott. Armando D’Alterio
Al Direttore EPE
Dott. Riccardo Turrini VitaAl Direttore della Direzione GeneraleDel Personale e della FormazioneDott. Massimo De Pascalis
Al Coordinamento Nazionale
Assistenti Sociali Giustizia
Dott.ssa Anna Muschitiello 22.04.07
Il SEAC (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) desidera ribadire le proprie perplessità in merito alla sperimentazione relativa all’inserimento della Polizia Penitenziaria negli UEPE.
Già dal nostro 38° Convegno nazionale sui 30 anni della riforma penitenziaria era uscita una posizione critica verso la Legge 154/2005 (Legge Meduri) che ha modificato la denominazione dei "Centri di Servizio Sociale per Adulti" in "Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna". Chiaramente il cambio della definizione non ci era sembrata una mera riformulazione lessicale, ma un disegno più vasto di ristrutturazione di questi uffici che, in questo arco di tempo dalla riforma, hanno dato prova di saper lavorare con capacità e competenza nelle difficili situazioni relative all’esecuzione esterna della pena, considerate anche le storiche scarse risorse previste per le misure alternative.
L’integrazione con il territorio, l’individualizzazione del progetto riabilitativo, la messa in rete delle risorse, la centralità posta sulla restituzione della responsabilità ai soggetti in merito al proprio percorso risocializzante attraverso la costante relazione con gli operatori sono da sempre elementi costitutivi di questi servizi che hanno contribuito in modo sostanziale a far si che l’esecuzione penale esterna determini meno recidive rispetto le carcerazioni . Sono di recente pubblicazione ben sei ricerche del Ministero della Giustizia e del DAP che smentiscono che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è stato detenuto avviene sette volte su dieci. Ben diverse sono invece le percentuali (2 su 10) di persone che hanno usufruito delle misure alternative. Non sarà forse perché un detenuto in esecuzione penale esterna può godere di quei diritti fondamentali ( la salute, gli affetti, la possibilità di lavorare, di essere ascoltato quando ne ha bisogno) che in carcere sono invece così impraticabili?
Queste ricerche dicono che le misure alternative sono in netta crescita e che la loro qualità è in grande miglioramento. Le revoche dei provvedimenti di esecuzione esterna incidono solo per il 5%. Quindi,una strategia vincente. Sicuramente migliorabile, come tutto.
Noi riteniamo però che la presenza della Polizia Penitenziaria negli UEPE non costituisca un valore aggiunto alla riabilitazione, e introduca invece elementi di criticità in una idea di servizio nato come "sociale" e che trae la sua efficacia dall’essere e rimanere tale. L’elevata spesa di questa operazione potrebbe essere diversamente destinata in risorse che potenzino i fattori necessari per il recupero; senza questi fattori, le dichiarazioni riferite alla sicurezza come controllo sociale rischiano di risultare mera demagogia. Sappiamo che vere politiche per la sicurezza possono trovare fondamento solo su vere risposte sociali.
Le risorse andrebbero inoltre impiegate per rafforzare gli UEPE dotandoli degli organici necessari a garantire il miglioramento di efficienza di un servizio che ha accumulato negli anni esperienze consolidate di buone prassi di lavoro.
Una coraggiosa inversione di rotta, che distribuisca le risorse in questa ottica, non può che costituire un investimento per il futuro in termini di vere risposte alla popolazione soggetta a misure penali.
Il potenziamento dell’area della detenzione sociale, aumentato negli ultimi anni e che comprende in buona parte tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichici o in stato di abbandono sociale richiede risposte di sostegno, affinché queste situazioni critiche non trovino il carcere come unico medicamento ma risposte adeguate nei servizi territoriali (con particolare riferimento alle detenzioni e alle dismissioni negli OPG). Le drammatiche cifre del sovraffollamento, deflazionate con l’approvazione dell’indulto, vanno prevenute nella loro recidiva: in assenza di politiche di riforma penale, è solo questione di tempo (non molto) affinché si ritorni all’invivibile ed illegale situazione precedente.
E’ quindi il momento di privilegiare la strada delle misure alternative alla detenzione. I dibattiti sui concetti di zero tolerance, sulla sicurezza e sul sovraffollamento delle carceri, oltre a ventilare soluzioni impossibili o realizzabili in tempi lunghissimi (come nel caso di nuovi istituti) stravolgono la questione portandola su un piano ideologico e demagogico; esistono già delle soluzioni migliori e i dato lo confermano; si tratta solo di praticarle.
Il passaggio dalla mera assistenza al riconoscimento dei diritti del soggetto è un presupposto ormai metabolizzato ed elaborato dal Volontariato penitenziario, la cui azione si ispira, oltre ad una visione globale della persona del condannato, ad una cultura di cittadinanza attiva senza la quale non si rendono possibili veri cambiamenti istituzionali. Le nostre motivazioni all’impegno trovano sostanza nell’agire quotidiano, nell’incontro con le persone ristrette, nell’auspicio di una esecuzione penale efficace, nella fiducia che i processi di trasformazione annunciati (la decarcerizzazione della madri con figli, la riforma del Codice Penale, il superamento degli OPG, il passaggio alla sanità pubblica ) non siano frenati da azioni involutive sul piano delle politiche penali, ma diventino pietre miliari indicatrici di strade di legalità e di giustizia.

Elisabetta Laganà, presidente SEAC
www.casg.it

martedì 24 aprile 2007

SAPPE

CARCERI - SAPPE: Sì A POLIZIA PENITENZIARIA NEGLI UEPE!
"E' davvero pretestuosa e incomprensibile la posizione espressa da alcuni assistenti sociali e addirittura da un Sindacato confederale della Polizia Penitenziaria contro la previsione di costituire Nuclei territoriali di Polizia Penitenziaria negli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna. Non comprendiamo queste 'resistenze' a impiegare il Corpo attivamente nell'area delle misure alternative alla detenzione. La Polizia Penitenziaria ha pieno titolo a svolgere questi importanti compiti e lo ha rimarcato con efficacia il Ministro Mastella nel suo intervento all’ultima Festa Nazionale dei Baschi Azzurri. Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia Penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all'affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell'esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite all'esterno, oltre che qualificare il ruolo della Polizia Penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione, aprendo la strada alle soluzioni che sono già allo studio della Commissione Pisapia per la riforma del codice penale. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene.
Essere contro questo futuro professionale per il Corpo vuol dire essere miopi o in malafede, soprattutto chi dice che i Poliziotti Penitenziari negli UEPE debba fare solamente gli autisti, i centralinisti, gli uscieri…
E' superfluo soltanto specificarlo, ma la Polizia Penitenziaria negli UEPE andrà a svolgere esattamente le stesse funzioni che oggi svolgono Polizia e Carabinieri, che in questo modo possono essere restituiti ai loro compiti istituzionali, in particolare il controllo del territorio, la prevenzione e la repressione dei reati, a tutto vantaggio dell'intera popolazione.”
E’ il commento della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, ad alcune dichiarazioni di assistenti sociali e della FP-Cgil circa il nuovo ruolo della Polizia Penitenziaria negli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna.

Roma, 24 aprile 2007
www.casg.it

OPERATORI UEPE FOGGIA

Al Ministro della Giustizia - On. Mastella
Al Capo Dipartimento Amministrazione Penitenziaria
Al Direttore Generale Esecuzione Penale Esterna
Al Provveditore Regione Puglia Amministrazione Penitenziaria
Alla CGIL- CISL – UIL – RDB – SAG-UNSA -
SUNAS – UGL – FLP- SIALPE INTESA
Al CASG
Alle Direzioni degli U.E.P.E.
Alle RSU presso tutti gli UEPE
All’Ordine Nazionale Assistenti Sociali



OGGETTO: sperimentazione commissariati di Polizia Penitenziaria presso gli U.E.P.E.


Gli operatori presenti dell’U.E.P.E. di Foggia, in relazione al paventato inserimento della Polizia Penitenziaria all’interno degli U.E.P.E. con funzione di controllo sui soggetti sottoposti a misura alternativa, esprimono il proprio dissenso rispetto all’operazione in atto portanta avanti con modalità ingiustificatamente concitate e senza preventivi confronti con gli operatori e con le OO.SS.
Pertanto richiedono:
l’immediata sospensione della sperimentazione in oggetto;
il concreto coinvolgimento sia dell’Ordine degli Assistenti Sociali, in quanto riteniamo che tali operatori hanno gestito una parte non trascurabile delle forme di esecuzione penale esterna, sia delle OO.SS.;
la canalizzazione delle risorse eventualmente disponibili per l’implementazione delle misure alternative alla detenzione verso l’istituzione, all’interno della Pubblica Amministrazione del ruolo degli autisti e del ruolo civile degli "operatori e assistenti di vigilanza", figure già inserite nella Giustizia Minorile, nonchè l’assunzione di altri Assistenti Sociali;
il potenziamento, in termini di personale e di risorse, delle Forze dell’Ordine presenti capillarmente sul territorio con le quali gli U.E.P.E. già da tempo hanno avviato proficue collaborazioni nel rispetto delle reciproche competenze.
Concludendo, nel ribadire la validità operativa del vigente Ordinamento Penitenziario e le differenze sostanziali tra controlli delle Forze dell’Ordine e controllo di Servizio Sociale, imprescindibile dalla funzione di "aiuto" (affidata al Servizio Sociale e non all’U.E.P.E.) questo gruppo condivide e sottoscrive quanto contenuto nel documento della FP-CGL del 23.04.2007.

CISL -PENITENZIARIO

Prot n° 0727_2007 Roma, 24 aprile 2007



Quale futuro per l’Esecuzione Penale Esterna ?
" Quante ingiustificate paure per una riforma necessaria "


Lo scorso 30 marzo 2007 abbiamo inviato al Sottosegretario Manconi ed al Capo del DAP Ferrara una riflessione della CISL su di un complesso argomento quale è la riforma degli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna.
Ad ogni buon fine – anche per evitare strumentalizzazioni – alleghiamo a questa lettera aperta quella riflessione di cui appena accennato.
Sulla questione della riforma degli UEPE si è aperto un dibattito, francamente non sempre dai toni accettabili e spesso con l’adozione e/o la presunzione di voler cambiare le regole di come si debba sviluppare il confronto tra Amministrazione e Sindacato.
Dopo che il DAP ha inviato una "bozza" di proposta, sulla riforma in questione, è partito un movimento di idee e di riflessioni non sempre "libero", anzi certamente non sempre svincolato da logiche di appartenenza, specialmente ideologica.
Dispiace aver letto alcune note che tendevano ad attribuire una linea, una idea sul tema, completamente deforme da quella che invece abbiamo inviato ai vertici politici del Ministero e del DAP. Basterebbe rileggere attentamente la nota che alleghiamo per capire che la CISL ha posto un problema all’Amministrazione, che altro non è che quello di rivalutare questi Uffici, dotarli di risorse umane e strumentali necessarie, oltre che di fornire agli stessi UEPE la indispensabile autonomia contabile.
Alcuni dei tanti documenti pervenuti da Assemblee spontanee avvenute negli Uffici, da tanti documenti ricevuti da Dirigenti di UEPE, da tanti documenti ricevuti da RSU di ogni luogo d’Italia, evidenziano la grande attenzione al tema. Molti gli apprezzamenti ricevuti alla nostra presa di posizione, e anche critiche però; molte di queste, lo ripetiamo, soprattutto strumentali, ideologiche e "fotocopiate tra loro", come il frutto di un preciso lavoro "certosino" di chi di riforme non vuol proprio sentirne parlare.
Noi, la CISL invece, vogliamo che di riforme si parli e che soprattutto – alla fine – una riforma si tenti di realizzarla. La pensiamo così perché siamo consapevoli del ruolo che abbiamo in questa "partita" come sindacato, e che chi deciderà di non giocarla ( la partita ) rischierà solo di fare il "male" delle Lavoratrici e dei Lavoratori Penitenziari (TUTTI) che operano già e che in futuro dovranno operare negli UEPE.

Troppe le carenze degli organici di personale (specialmente di Assistenti Sociali) e troppe le situazioni dove le altre professionalità (sia del Comparto Ministeri che di quello della Sicurezza) operano oggi in quegli Uffici da "CLANDESTINI", tutti distaccati e senza diritto di espressione, di partecipazione attiva ai processi di organizzazione e di scelte negli UEPE. Ecco perché, ad esempio, molti oggi contestano qualunque possibile ipotesi di riforma: Mantenere il proprio "status quo" e decidere per sé e per gli altri.
La CISL nell’ambito della Giustizia, ed in particolare nell’ambito del settore Penitenziario, non ha mai favorito scelte corporative e che mirassero a singoli "pezzi" del Personale dell’Amministrazione. Noi non favoriamo scelte in favore degli uni contro altri. Noi siamo la CISL e quei modi di operare non ci appartengono. Anche quando abbiamo sostenuto la riforma sulla dirigenza penitenziaria lo abbiamo fatto liberi da "pensieri di parte", ma convinti del fatto che anche quella norma fosse l’avvio di una riforma più complessiva che dovrà riguardare tutta l’Amministrazione Penitenziaria. Con lo stesso spirito sosteniamo la modifica della legge 146 del 2000, le modifiche all’ordinamento professionale del personale del comparto ministeri ed il riordino delle carriere del comparto sicurezza.
Siamo certi che il dibattito sarà serio e approfondito. Siamo altrettanto certi che il Ministero comunque realizzerà una riforma anche perché altre questioni avanzano in Parlamento (la riforma del codice di procedura penale, ad esempio) e Noi vogliamo essere pronti a dire la nostra, a dire ciò che quotidianamente proprio le Lavoratrici ed i Lavoratori ci chiedono di fare, direttamente e/o tramite i propri legittimi Rappresentanti Sindacali, eletti democraticamente negli anni durante le scelte congressuali e di riorganizzazione del Sindacato.
Diffidiamo – e su questo invitiamo anche tutti gli altri a fare altrettanto – ai vari "capetti" che nascono dalla sera per la mattina dopo, avocando a sé diritti di rappresentanza non verificata e non riconosciuta.
La fase che ci attende è difficile. La CISL come propria abitudine svolgerà il proprio ruolo, con serietà e orgoglio dell’idea di migliaia di Operatori Penitenziari che rappresentiamo. E’ altrettanto chiaro che, come sempre avvenuto, verificheremo il parere del Personale (TUTTO) all’indomani di una eventuale intesa con l’Amministrazione su questo specifico tema.
Cordiali saluti.