L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

giovedì 23 febbraio 2012

Comunicato: La FP CGIL incontra il Ministro Paola Severino


Si è tenuto ieri al Ministero della Giustizia, come preannunciato nei giorni scorsi, l'incontro tra le OO.SS. rappresentative degli operatori penitenziari, dirigenza, comparto sicurezza e ministeri, e il Ministro Severino.
La evidente quanto prevedibile costituzione pletorica del tavolo non è parsa rispondente ai tempi e agli impegni del Ministro che, come nel precedente incontro purtroppo, ha lasciato il tavolo prima della conclusione di tutti gli interventi, affidando la prosecuzione della discussione agli altri componenti la delegazione di parte pubblica presenti all'incontro, in particolare modo al nuovo Capo del DAP, Presidente Giovanni Tamburino, che ha proseguito il confronto con alcune delle parti sociali che hanno scelto di continuare a presenziare.
La Fp Cgil, alla presenza del Ministro Severino, è comunque riuscita a proporre nel brevissimo tempo messo a disposizione - 5 minuti - solo una parte del proprio intervento, che nelle intenzioni avrebbe dovuto contemplare in maniera esaustiva le rivendicazioni che caratterizzano le peculiarità professionali dei diversi comparti contrattuali rappresentati.
In ragione dell'esiguo tempo messo a disposizione delle rappresentanze sindacali la Fp Cgil, nel sottolineare l'assenza dell'ordine del giorno dalla discussione, che avrebbe consentito di comprimere i tempi degli interventi e centrare la discussione evitando inutili digressioni, ha chiesto al Ministro Severino di programmare quanto prima una serie di incontri separati tra le OO.SS. dei diversi comparti.
Si è avuto comunque il tempo di manifestare apprezzamento per l'intento prioritario comunicato dal Ministro nell'occasione di ridare dignità al sistema penitenziario, segnato da una evidente e profonda crisi che denota una regressione in termini di civiltà del nostro Paese, e di voler sia ricondurre gli obiettivi del sistema detentivo nei principi sanciti dall'art. 27 del dettato costituzionale, che dedicare pari impegno alla risoluzione delle problematiche che allo stato attuale affliggono il mondo del lavoro in carcere. Intenti che abbiamo puntualmente registrato, dei quali però - considerate le esperienze fin qui maturate - abbiamo chiesto sollecita concretizzazione e realizzazione se si vuol essere davvero credibili.
A tal proposito, abbiamo anche sostenuto che quanto previsto dal pacchetto carceri recentemente varato risulta essere solo un timido approccio alle proporzioni dell'emergenza carcere, che invero necessita di interventi più mirati ed incisivi, in grado di offrire prospettive ad un sistema penitenziario reso ormai per lo più agonizzante.
Pertanto, nell'evidenziare come l'incontro avesse a nostro parere una connotazione squisitamente politica, abbiamo incalzato il Ministro chiedendogli un impegno teso a dare risposte concrete alle problematiche che per forza di cose si collocano in tale ambito, ovvero: chiarezza circa il contenuto dell'art. 43 del DL riguardante le "liberalizzazioni", che prefigura la possibilità di privatizzare le carceri. Un progetto pericoloso che non condividiamo affatto, in quanto inconciliabile con la norma costituzionale di riferimento; ma anche, la ripresa della negoziazione avviata con il Dipartimento della Funzione Pubblica per la definizione del primo contratto della Dirigenza penitenziaria e la Previdenza Complementare per il personale del Comparto Sicurezza; la revisione del contratto integrativo del comparto ministeri, che ha svilito e mortificato tutte le professionalità penitenziarie impegnate nell'espletamento del compito istituzionale di riferimento; la necessità di deroghe ai tagli delle risorse economiche che hanno insistito in maniera devastante sul sistema penitenziario e il lavoro degli operatori; la necessità di costituire un tavolo tecnico che investa il sistema dell'esecuzione penale esterna circa la fattibilità e l'implementazione delle misure annunciate in tema di misure alternative e messa alla prova; l'esigenza e urgenza di predisporre un piano di lavoro per la Polizia Penitenziaria, capace anche di affrontare e risolvere l'annosa e tuttora insoluta questione afferente il disallineamento e la differenza di trattamento subita dai ruoli dei sovrintendenti, ispettori e funzionari della Polizia Penitenziaria rispetto agli omologhi della Polizia di Stato.
Nelle sue conclusioni, ovvero prima di lasciare la riunione, il Ministro Severino eludendo la gran parte delle questioni sollevate ha comunicato che la questione afferente il project financing a cui noi facevamo riferimento è, e sarà sempre, tenuta sotto controllo dal Ministero della Giustizia perché, a suo dire, occorre assolutamente tener conto della peculiarità e della tutela degli interessi e servizi pubblici prevalenti.
Verificheremo in seguito se le affermazioni fatte dal Ministro corrisponderanno alla realtà dei fatti, e se rispetto ai temi trattati solo in parte ieri sarà in grado di offrire risposte tangibili agli operatori impegnati nel sistema penitenziario.
Per quanto ci riguarda, in attesa di ricevere le convocazioni richieste, sui temi posti alla discussione è certo che continueremo a caratterizzare la nostra attività sindacale con impegno e dedizione.
Roma, 23.02.2012



Il Coordinatore Nazionale FP CGIL Il Coordinatore nazionale FP CGIL
Settore penitenziario Polizia Penitenziaria
Lina Lamonica Francesco Quinti


PAGANO DOPO 20 ANNI SALUTA MILANO E VA AL DAP

milano.repubblica.it
Luigi Pagano, ormai ex provveditore alle carceri lombarde, ha salutato oggi gli esponenti delle forze dell'ordine e i magistrati alla presenza dell'assessore comunale Lucia Castellano, dopo la nomina a Roma a vice capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap) dove affiancherà l'ex magistrato di sorveglianza Giovanni Tamburino. "Lavorare a Milano è stato fantastico - ha detto -, la Milano dei sogni, la Milano da bere, ma anche la Milano cosmopolita e insieme provinciale. Io arrivavo da Napoli ed ero come Totò e Peppino". Visibilmente emozionato, Pagano ha affermato di non aspettarsi "così tanti amici" a salutarlo nell'anticamera del procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati. Dal presidente del tribunale Livia Pomodoro, al questore Alessandro Marangoni, dal capo della squadra mobile Alessandro Giuliano, al comandante del comando regionale della guardia di finanza Attilio Iodice, al capo della polizia locale Tullio Mastrangelo. "Milano per me ha rappresentato anche questo, l'amicizia al di là del lavoro", ha proseguito Pagano, per poi aggiungere ridendo: "Se mi hanno chiamato a Roma sono problemi loro: grazie a tutti, porterò Milano nel cuore, perché nonostante il mio accento, sono napoletano, Milano è diventata la mia prima città". A Milano dal 1989 prima come direttore di San Vittore, dal 2004 come provveditore, Pagano ha detto che "il carcere chiuso in se stesso genera criminalità". "Pagano ha compiuto nei diversi ruoli svolti un segno molto netto in quel difficilissimo compito di tenere insieme la tutela della sicurezza e l'attenzione alla prospettiva della rieducazione e del reinserimento nella società dei detenuti. Ci dispiace molto che lei lasci Milano. Buon lavoro", gli ha augurato Bruti Liberati. Mentre Pomodoro ha parlato della situazione "molto grave" delle carceri, dovuta "non solo al sovraffollamento, ma al fattoche tanti di quei progetti fatti in passato sono stati abbandonati. Qualcuno ha detto per mancanza di mezzi, ma io non lo credo, anche se non penso nemmeno sia stato fatto dolosamente. È l'incapacità culturale di vedere il futuro del Paese anche attraverso situazioni più estreme come quelle del carcere". Infine il presidente del tribunale di sorveglianza Pasquale Nobili De Santis ha così salutato Pagano: "Una scelta migliore non poteva essere fatta: l'accoppiata Tamburino-Pagano ci indica la strada". (Omnimilano.it)
(23 Febbraio 2012)

mercoledì 22 febbraio 2012

Nota CISL: I risultati dell'incontro con il Ministro della Giustizia Severino


Mercoledì 22 Febbraio 2012
Si è svolto in data odierna il programmato incontro con il Ministro della Giustizia, Paola Severino, sulle problematiche relative al personale penitenziario dei comparti ministeri e sicurezza e della dirigenza.
Nel corso della riunione, che il Ministro ha dichiarato interlocutoria, la CISL ha denunciato nuovamente la grave situazione degli organici, resa letteralmente drammatica dai tagli imposti dalle manovre finanziarie.
La CISL, in particolare, ha segnalato che con l’ultimo taglio, non ancora effettuato dall’amministrazione, si rischia di creare una situazione soprannumeraria del personale in servizio in alcune figure professionali. Per tale motivo la CISL ha chiesto: nuove assunzioni; una deroga all’ulteriore taglio agli organici non ancora effettuato; più risorse umane e materiali agli UEPE; la riapertura del tavolo negoziale in tema di mobilità anche per verificare la possibilità di procedere alla stabilizzazione dei distaccati. La CISL ha chiesto infine il rifinanziamento del Fondo Unico di Amministrazione anche in applicazione dell’art. 16 della legge 111/2011 il quale prevede la destinazione alla contrattazione integrativa del 50% dei risparmi derivanti dai piani triennali di razionalizzazione e riqualificazione della spesa, di riordino e ristrutturazione amministrativa, di semplificazione e digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.
La CISL ha infine chiesto al Ministro la convocazione di un incontro anche per gli altri settori del Ministero (organizzazione giudiziaria, giustizia minorile ed archivi notarili) e per discutere della questione relativa alla riforma della geografia giudiziaria.

Più pene alternative, meno carcerazione… e costruire nuovi istituti non serve

di Antonella Loi -Tiscali Notizie, 22 febbraio 2012

Alessandro Gallelli aveva 22 anni. Era detenuto in una cella del carcere di San Vittore, a Milano, piccoli reati, in attesa di giudizio. La sua vita si è interrotta nella notte tra sabato e domenica scorsa: si è tolto la vita impiccandosi con una felpa annodata alle sbarre della cella.
“Doveva uscire tra 20 giorni per andare in comunità - sono le parole del fratello Vincenzo - perché si sarebbe dovuto uccidere?”.

I familiari non si danno pace, ma il medico legale che ha eseguito l’autopsia conferma l’ipotesi del suicidio. La storia di Alessandro è quella di tanti altri detenuti - il più delle volte molto giovani - che al carcere non son riusciti a sopravvivere. Si chiamano Michele, Antonio, Aurel: hanno una media di 37,8 anni di età e molti di loro attendevano ancora di avere un processo.
La macabra conta dei morti dietro le sbarre corre veloce: delle 24 vittime dall’inizio dell’anno ben dieci si sono tolte la vita mentre altrettante sono morte in circostanze ancora da chiarire. Ma è il 2011 a darci la misura della drammaticità del fenomeno: 186 morti in totale, di cui 66 suicidi.
Per impiccagione soprattutto: è fin troppo semplice servirsi di un lenzuolo o di un qualsiasi altro indumento, un jeans o una maglia. Secondo i rapporti ufficiali i suicidi avvengono anche per avvelenamento, soffocamento o inalazione del gas dalla bomboletta usata per cucinare i pasti. Carceri esentate non ce ne sono: da Torino a Poggioreale (Napoli), all’Ucciardone di Palermo passando per Sassari e Cagliari le strutture hanno il loro bel da fare per prevenire morti troppo spesso “inevitabili”.
Perché in un Paese dove il tasso di affollamento supera il 164 per cento - che significa 20mila detenuti in eccesso - la morte per suicidio è una voce passiva messa a bilancio. E non riguarda solo i detenuti, ma anche chi sta dall’altra parte: negli ultimi dodici anni, secondo i dati del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), sono 100 gli agenti che si sono tolti la vita, a cui si aggiunge un direttore di istituto e un dirigente regionale.
“È un disastro e la situazione peggiora”, ci spiega Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, il periodico scritto interamente da detenuti che da 15 anni informa sulle condizioni di vita carceraria. “Il caso del ragazzo morto a San Vittore alla sua prima carcerazione deve far pensare: significa che non si è stati in grado di intercettare il suo disagio psichico”.
Il 22enne, accusato di molestie sessuali e di altri reati minori, forse in carcere non ci sarebbe mai dovuto entrare. “È una categoria di persone sempre più presente nei penitenziari: le carceri sono diventate delle discariche sociali per persone che creano problemi - spiega Favero - invece di dare loro gli strumenti per riabilitarsi e reinserirsi vengono parcheggiate nelle celle”.
E questo è tanto più drammatico se avviene in un contesto di sovraffollamento dove le “persone sono costrette a dormire in letti a castello di quattro piani e celle dove si può stare in piedi solo uno alla volta”, aggiunge, a fronte di un organico destinato all’assistenza psicologica e all’educazione ridotto al minimo. “In Italia c’è un educatore ogni 150 detenuti e ogni psicologo può dedicare a ciascun paziente solo 10 minuti all’anno”.
Una situazione ormai incancrenita che sopravvive grazie ai paradossi. “Il primo è che gli agenti penitenziari si trovano nelle condizioni di fare da educatori, psicologi e cappellani”, ci spiega Donato Capece, segretario generale del Sappe. “Noi siamo sotto organico di almeno 7mila unità rispetto a quanto stabilito nel 2001: come può un agente da solo controllare circa 100 detenuti? Infatti facciamo i miracoli - dice -, tutti i giorni sediamo aggressioni, tentativi di suicidio, ribellioni contro lo Stato e contro le guardie”. E l’estrema negativa conseguenza è che “tutto questo stress noi poliziotti ce lo portiamo dietro per tutta la giornata, in famiglia, nelle case, nella nostra vita”.
Le soluzioni vanno trovate con urgenza. “Cominciamo ad assumere più personale invece di costruire nuove carceri e magari ammoderniamo quelle già esistenti che in molti casi sono fatiscenti e apriamo gli 8 padiglioni realizzati durante l’epoca Mastella ancora chiusi. I soldi per fare tutto questo ci sono - dice - stanziati dalla legge 199: non serve costruire nuove carceri”. Ma soprattutto - Capece ne è sicuro - “va riformato il sistema sanzionatorio, che significa meno carcere e più territorio”.
Con il decreto “svuota-carceri” si va nella direzione giusta? “Non chiamiamolo svuota-carceri perché l’unica cosa certa è che le celle saranno ancora piene”. Bisognerebbe concentrarsi piuttosto sui reati di lieve entità, spiega Capece, “vanno tenuti sul territorio attraverso misure alternative alla detenzione, quali lavori di pubblica utilità, semidetenzione domiciliare, applicazione del braccialetto elettronico e così via. Si renda più operativo il fatidico Uepe, l’Ufficio esecuzioni penali esterne”. Perché all’interno delle strutture, per il sindacato della polizia penitenziaria, non ci dovrebbero stare più di 40-50mila detenuti, cioè coloro che, condannati a pene definitive, creano allarme sociale. “Purché la pena non sia semplicemente punitiva, ma descriva un percorso riabilitativo che non sottragga la dignità delle persone”.
Dello stesso parere è la direttrice di Ristretti Orizzonti per la quale la carcerazione domiciliare per gli ultimi 18 mesi di reclusione e la possibilità di far uscire tremila detenuti dalle celle - così stabilisce il decreto varato dal ministro della Giustizia Severino - è già un inizio. In soldoni servono pene alternative e percorsi di reinserimento sociale, che significa sostanzialmente un percorso lavorativo. “La pena più terribile per chi sta in carcere è il non avere nulla da fare: è pericoloso e dannoso perché queste situazioni di degrado annullano la dignità delle persone e si arriva al paradosso che chi esce dal carcere è peggiorato rispetto a quando ci è entrato”, dice Favero.
E poi la popolazione carceraria sta cambiando. “Guardo dentro la mia redazione e vedo sempre meno persone con una scelta di vita criminale e sempre più uomini e donne che vengono da una vita regolare: la droga porta in cella tanti ragazzi. Pensiamo poi a chi ha compiuto reati in famiglia, un medico, un dirigente di banca. Famiglie dove c’è incapacità di risolvere i conflitti”. Gente “normale” insomma che le sbarre non le ha mai messe in conto. “E questo - conclude - ci deve far riflettere sul fatto che il carcere non riguarda solo i criminali ma tutti noi. Ecco perché bisogna parlarne”.

Rischia la soppressione il Dipartimento dei minori; allarme Gruppi alla Camera

Dire, 22 febbraio 2012


Il Dipartimento per la giustizia minorile rischia di scomparire. Uno schema di decreto del presidente della Repubblica recante regolamento di organizzazione del ministero della Giustizia, in linea con la politica dei tagli per i risparmi dello Stato, prevede infatti che le attuali funzioni vengano scorporate tra il Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria) e il Dog (Dipartimento organizzazione giustizia).

I gruppi parlamentari in commissione Giustizia alla Camera, dove lo schema di decreto è stato trasmesso lo scorso 23 gennaio per l’espressione del parere, sono in allarme. E si preparano a evidenziare una serie di criticità per evitare che il Dipartimento per la giustizia minorile scompaia. Ieri il relatore in commissione, Federico Palomba (Idv), ha fatto una illustrazione in cui ha espresso la sua netta contrarietà al provvedimento per quanto riguarda la parte che tocca i minori.
E oggi, in via d’urgenza, la commissione Giustizia svolgerà, a partire dalle 14.30, audizioni nonostante la fiducia al decreto Mille proroghe che teoricamente stopperebbe i lavori a Montecitorio. Saranno ascoltati Luciano Spina, presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minori e la famiglia; Maria Giovanna Ruo, presidente della Camera Minorile Nazionale; Gianfranco Macigno, esperto della materia.
Gli articoli incriminati dello schema di decreto riguardano i compiti del Dipartimento per la giustizia minorile. La riorganizzazione comporta la perdita delle competenze su personale e risorse, trasferite, rispettivamente, al centro servizi unitario presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e a quello presso l’organizzazione giudiziaria. Di conseguenza, il Dipartimento perde due Direzioni generali (personale e formazione; risorse materiali, beni e servizi). Anche il Senato dovrà esprimere un parere.
La capogruppo del Pd, in commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, interpellata dalla “Dire” sullo schema di decreto che riorganizza il ministero della Giustizia svuotando il Dipartimento per i minori, spiega: “Siamo preoccupati, non si può smantellare un Dipartimento strategico come quello per i minori, se si vogliono fare i tagli non si facciano a scapito dei minori.
Questo è uno schema dello scorso governo che recepisce indicazioni della finanziaria. Tra l’altro - aggiunge - mettere sotto il Dap alcune funzioni del dipartimento porterà a una commistione rischiosa con la giustizia per gli adulti”. Nella sua relazione in commissione Giustizia, dove oggi ci saranno le audizioni ad hoc sulla questione minori, Palomba (Idv) ha espresso la sua “totale contrarietà alla sostanziale soppressione della specificità e della specializzazione che la giustizia minorile ha acquisito nel corso degli anni, che si concretizza attraverso la soppressione dei Centri per la Giustizia Minorile e lo svuotamento delle prerogative del Dipartimento della Giustizia Minorile, privato di ogni potere di indirizzo e di gestione del personale del comparto ministeri e di polizia penitenziaria e della gestione dei beni e servizi

martedì 21 febbraio 2012

INTERVISTA TELEVISIVA A LINA LAMONICA COORD. PENITENZIARI FPCGIL

Canale3Toscana Web TV

http://www.canale3toscana.it/frontend/canale3toscana/video.aspx?idFile=21046&idcat=829&page=0

LETTERA AL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA DELL'ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI SITUAZIONE DEGLI UEPE

COMUNICATO DI ROSSANA DETTORI FPCGIL


SEGRETARIA GENERALE FP CGIL

La recente nomina del Dott. Giovanni Tamburino al vertice dell’amministrazione penitenziaria è un decisione che apprezziamo: l’aver individuato una esperienza ricca e professionalmente sensibile ai temi dei diritti e delle garanzie, come il Dr. Tamburino, conferma un criterio di scelta per la guida del DAP che va al di là degli schieramenti politici e che guarda ai problemi carcerari in maniera oggettiva.
La sua conoscenza dell’amministrazione penitenziaria e del carcere, frutto di esperienze diverse ma coincidenti, non possono che configurarsi come un arricchimento per l’amministrazione penitenziaria e, per ciò che ci riguarda, rappresentiamo sin da subito la nostra disponibilità ad un confronto che definisca urgentemente un vero e proprio “piano marshall” per la soluzione dei problemi più gravi ed urgenti.
Il tema della condizione di vita detentiva, la crisi strutturale del sistema penal-penitenziario, causa dell’insostenibile sovraffollamento carcerario, la carenza di fondi per gli investimenti in qualità e per la garanzia di esigibilità dei diritti di cittadinanza, la immediata chiusura degli ultimi residui manicomiali, gli OPG, sono solo alcune delle priorità che poniamo al nuovo vertice dell’amministrazione e alla Ministra Severino.
Così come urgenti sono le risposte che rivendichiamo sul tema del lavoro
Dalla Polizia penitenziaria alle professionalità tecniche, dalla dirigenza penitenziaria alle professionalità socio-educative, ciò che ci aspettiamo e che rivendichiamo è che la ricerca di una soluzione di uscita dalla crisi penitenziaria sia accompagnata dalla costante consapevolezza che il vero patrimonio dell’amministrazione da valorizzare e sul quale investire sono le tante lavoratrici e lavoratori che da anni provano, con tenacia, a mantenere viva la speranza di un cambiamento democratico sul tema delle detenzione, della marginalità, dei processi di presa in carico dei problemi carcerari da parte della società.
Al Presidente uscente Ionta va il riconoscimento della Fp Cgil per il lavoro svolto: misurarsi alla guida del DAP in un contesto politico insensibile al tema dei diritti e dell’inclusione sociale e con una idea dell’amministrazione della giustizia molto “personalizzata” è condizione oggettivamente difficile.

domenica 19 febbraio 2012

Francesco Maisto; il decreto svuota-carceri? è un segno positivo, ma timido

Redattore Sociale, 16 febbraio 2012

Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna pensa a interventi legislativi e organizzativi. “Bisogna mettere i tribunali di sorveglianza in condizione di lavorare”. Si ridurrà invece il fenomeno delle “porte girevoli”.

L’approvazione del decreto cosiddetto “svuota-carceri” da parte della Camera dei deputati (avvenuta ieri con 385 voti favorevoli, 105 contrari e 26 astenuti) rappresenta un cambio di passo. Ne è convinto Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, che dice, “finalmente non abbiamo avuto un altro pacchetto sicurezza”.
Ma forse si poteva osare un po’ di più. “Il segno è positivo ma è timido e non troppo consistente - precisa Maisto - perché è vero che porterà fuori dal carcere un certo numero di persone, a dire il vero non troppo alto, ma non risolve il problema dei 22 mila detenuti in più rispetto alla capienza”.
Attualmente, infatti, nelle carceri italiane si trovano circa 67 mila detenuti per una capienza regolamentare di circa 45 mila posti e si calcola che, per effetto della norma contenuta nel decreto svuota-carceri in base al quale gli ultimi 18 mesi di pena possono essere scontati in detenzione domiciliare (prima erano 12), potrebbero uscire circa 3.000 persone (a livello nazionale).
“Va tenuto conto poi del fatto che non si tratta di un automatismo ma ogni caso andrà valutato da parte dei tribunali di sorveglianza - dice Maisto - i quali però, devono essere messi in condizione di poter lavorare”. Qualche effetto in più, invece, si avrà dalla modifica dell’articolo 558 del Codice di procedura penale (divieto di condurre in carcere persone arrestate per reati non particolarmente gravi ma custodia ai domiciliari o nelle camere di sicurezza e giudizio direttissimo entro 48 ore anziché 96). “Queste modifiche potrebbero attenuare il fenomeno delle porte girevoli - afferma Maisto - e ridurre il numero delle persone che vengono condotte in carcere”.
Intervenire a livello legislativo e organizzativo. Ecco cosa si dovrebbe fare secondo Francesco Maisto. “C’è una considerazione di fondo che va fatta ed è che i Tribunali di sorveglianza non vanno a pieno regime - chiarisce - Intervenire a livello organizzativo significa metterli in condizione, ad esempio, di riconoscere la buona condotta a un detenuto che fa domanda di liberazione anticipata, cosa che oggi non è sempre possibile per mancanza di personale”.
Un intervento, quello a carattere organizzativo necessario anche per “ridurre la sperequazione delle risorse a livello nazionale”. Ci sono, infatti, regioni in cui il personale del Tribunale di sorveglianza è in eccesso e viene distaccato in altri uffici - come quello del giudice di pace, ad esempio - e regioni in cui anche la cancelleria è in affanno.
A livello legislativo, invece, sarebbe necessario intervenire per modificare le normative che hanno previsto ipotesi di reato che prima non esistevano o inasprito le pene per reati già esistenti. “Penso ad esempio alla Cirielli e alla Fini-Giovanardi - conclude Maisto. Ad esempio trovo irrazionale negare l’accesso ai percorsi di recupero in comunità ai tossicodipendenti recidivi nel caso in cui la richiesta sia già stata fatta due volte”.

INCONTRO PRESSO CC S. VITTORE- PROPOSTE PER UN NUOVO SISTEMA DELL'ESECUZIONE PENALE

L'istituzione penitenziaria da sempre lavora con persone provenienti da situazioni di marginalità, ma negli ultimi anni tale presenza, dovuta principalmente alla crisi e al fallimento delle politiche sociali è aumentata in modo considerevole, tanto che si parla di “detenzione sociale”. Non è un caso che la popolazione detenuta sia composta in buona parte da tossicodipendenti, immigrati,malati psichici, persone in stato di abbandono, che richiedono risposte di sostegno adeguate che il carcere da solo non può dare, ma che possono, invece, trovare soluzioni nei servizi territoriali.Se il fine della pena è la risocializzazione, come recita la nostra Costituzione, bisogna che l'operatività si rivolga verso la società e il modo migliore è quello di potenziare il sistema delle alternative al carcere; per farlo c'è bisogno di figureprofessionali specializzate, in numero congruo, e formate adeguatamente, così come di strutture che rispettino le minime norme di tutela dei cittadini ristretti e degli operatori che con loro devono interloquire.Un tema complesso e difficile da affrontare da soli, per questo le lavoratrici e i lavoratori che, a diverso titolo, si occupano dell'esecuzione della pena e la Funzione Pubblica CGIL Lombardia vogliono discuterne con il territorio e l'amministrazione penitenziaria, invitando tutti all'iniziativa che si terrà lunedì 27 febbraio dalle ore 10 presso la SalaRiunioni “Di Cataldo” dell’Istituto Penitenziario di San Vittore a Milano Piazza Filangeri 2. Per poter accedere all’iniziativa si chiede di trasmettere i nominativi a Barbara Campagna 3391737068entro il 21 febbraio 2012

PRESIEDE :Gloria Baraldi Segretaria FP CGIL Lombardia- Barbara CampagnaCoordinatrice Regionale FP CGIL Ministero Giustizia DAP- Enrico BoyerDirigente Struttura Interventi per l’Inclusione Sociale Regione Lombardia

INTERVENGONO:Luigi Pagano-Provveditore Regionale PRAP Lombardia- Milena Cassano Dirigente Ufficio EPE PRAP- Anna Muschitello Funzionaria della Professionalità di Servizio Sociale PRAP Milano- Renato Fiamma Funzionario Contabile CC Cremona- Anna Garda Funzionaria Giuridico Pedagogica CR Verziano Brescia- Nunzio Laganà Funzionario Amministrativo CC Bergamo- Angelo Aparo Psicologo- Antonella Calcaterra Avvocato Camera Penale Milano- Luigi Benevelli Presidente Regionale Forum Salute Mentale-Alessandra Naldi-Presidente Associazione Antigone Lombardia- Fulvio San Vito Responsabile Area Carcere Caritas Ambrosiana

CONCLUDE; Lina Lamonica Coordinatrice Nazionale FP CGIL Ministero Giustizia DAP

Sono stati invitati rappresentanti degli Enti Locali

lunedì 13 febbraio 2012

IL SOVRAFFOLLAMENTO PENITENZIARIO- Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del PD

Forum Giustizia del Partito Democratico- Gruppo PD Camera dei Deputati -Seminario di studio
Camera dei Deputati - Sala del Mappamondo - 10 febbraio 2012
IL SOVRAFFOLLAMENTO PENITENZIARIO
Riforme di sistema e soluzioni urgenti - Il carcere come extrema ratio
Relazione introduttiva di Sandro Favi, Responsabile nazionale carceri del PD


Il nostro seminario di studio non toccherà tutte le problematiche che attengono al carcere, che comunque vanno affrontate e sulle quali c’è fin da ora l’impegno a promuovere altri momenti tematici come quello odierno.
Il sistema penitenziario italiano, pur riformato più volte negli ultimi decenni nell’ordinamento, nell’organizzazione e nelle normative professionali del personale, si è trovato ciclicamente superato da fenomeni criminali e sociali che non era capace di interpretare, se non con cronici ritardi che si sono scaricati sui propri assetti e sulle proprie strutture, configurandosi ogni volta nelle forme dell’emergenza.
Il sovraffollamento delle carceri non si iscrive solo nel lungo capitolo del deficit infrastrutturale
del nostro Paese o della mancata modernizzazione del sistema giustizia e della sicurezza; oppure dei ritardi cronici della politica ad interpretare le trasformazioni sociali che impattano nella dimensione del processo e della esecuzione penale.
Il sovraffollamento penitenziario ci interroga in modo pressante sul rispetto dei valori fondanti del Patto costituente della nostra convivenza civile: sulla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e sui doveri di solidarietà a cui è richiamata la nostra organizzazione sociale, economica e politica; sulla pari dignità e sulla eguaglianza delle persone davanti alla legge; sul senso di umanità che deve presiedere alla esecuzione delle pene; sulla efficace protezione della salute di ogni individuo; sull’impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona e sulle effettive opportunità di partecipazione o reintegrazione alla vita sociale; sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti restrittivi della
libertà personale e sui principi del giusto processo.
Per questo il Partito Democratico ha voluto affermare, senza retorica e senza incertezze, che il suo programma fondamentale per la giustizia si chiama Costituzione.
E’ il programma di un riformismo forte e rigoroso, impegnato a comprendere la realtà concreta che si manifesta nelle nostre comunità; un riformismo determinato a costruire solide architetture di sistema, come pure a proporre soluzioni al passo con le trasformazioni dei nostri tempi, con i fenomeni sociali e con i problemi che denunciano la possibile degenerazione delle strutture che reggono le nostre istituzioni, facendone perdere la coerenza e l’armonia col disegno voluto dai Costituenti.
Non ci sfugge che non sia un’impresa politica facile quella di riformare il carcere, a fronte dell’insicurezza individuale e collettiva. Ciclicamente ricerche e sondaggi ci dicono che la sicurezza è una delle prime preoccupazioni dei cittadini. Una società è sicura se è solidale: sei i più poveri, i più deboli, gli ultimi non vengono lasciati soli a se stessi o in preda alla criminalità organizzata e se si creano nuove occasioni di lavoro e di impegno. Una società solidale è la condizione che i cittadini si sentano a casa loro anche in strada e nei luoghi di lavoro. E la società è solidale se è sicura: se l’usura, lo spaccio della droga, lo sfruttamento della prostituzione, il racket vengono repressi; se nei quartieri delle nostre città c’è la Polizia e se la giustizia funziona.
Comunque, finché il carcere sarà comunemente inteso come una discarica sociale del sistema istituzionale, come un luogo in cui possano accadere e si possano tollerare violenze ed illegalità, nell’errata convinzione le illegalità “dentro” siano funzionali a garantire la legalità e la pace “fuori”, il carcere rimarrà dimenticato ed estraneo alla vita civile. In Italia il dibattito si polarizza continuamente tra estrema repressione ed indistinta indulgenza. Si promuovono leggi che rincorrono una presunta deterrenza con l’aumento delle pene detentive; si configurano nuove fattispecie di reato e poi le conseguenze di queste scelte politiche, fanno risorgere l’eterno rimedio di amnistie ed indulti. Ma finché prevarrà questo modo di legiferare, le distorsioni del sistema inevitabilmente, si avviteranno su se stesse. Perciò a noi non interessa né l’indulgenza né il rigore: ci interessa una pena civile in un sistema giudiziario giusto ed efficiente.
Per questo, immaginare che il carcere possa essere extrema ratio - sia nelle forme della cautela giudiziaria e della tutela della sicurezza dei cittadini, sia come modalità di esecuzione delle pene - non si colloca in un orizzonte utopico e senza prospettiva politica; ma è l’impegno di un riformismo ambizioso, capace di attingere alla coscienza civile ed alla piena consapevolezza dei cittadini, ai quali chiedere un consenso maturo, offrendo certezza, sicurezza ed efficienza del servizio giustizia.
E’ con questa convinzione ed è in questo quadro che il Partito Democratico ha elaborato le proprie proposte per fronteggiare l’esplosione del sovraffollamento penitenziario, nel fecondo confronto con il mondo dell’associazionismo impegnato in questo settore, con il volontariato come con l’avvocatura e la magistratura, con il sindacato e con le diverse rappresentanze degli operatori, con sensibilità e disponibilità all’ascolto della voce sofferente che giunge da chi vive questa condizione e, per riflesso, dei loro familiari.
Si tratta di una serie di proposte, che in larga parte sono confluite attraverso i nostri gruppi parlamentari in progetti e disegni di legge, in risoluzioni e mozioni discusse e votate dal Parlamento ed infine negli emendamenti al recente decreto-legge presentato dal Ministro Severino, che ci predisponiamo a riproporre nel contesto dell’ulteriore disegno di legge-delega, approvato dal Consiglio dei Ministri di fine dicembre in materia di depenalizzazione; sospensione del procedimento per gli irreperibili; della messa alla prova; delle pene detentive non carcerarie.
Il decreto-legge che tra breve verrà approvato definitivamente dal Parlamento, ha l’indubbio merito di avere spostato l’asse giuridico e culturale che vede come ineluttabile l’ingresso in carcere delle persone che siano imputate di un reato di presunto allarme sociale. E la conferma di avere invertito veramente la rotta si avrà solo se seguiranno ulteriori coerenti misure, che evitino la risposta carceraria come unica opzione per una sicurezza efficace ed una giustizia efficiente.
1. La prima proposta riguarda la revisione delle misure cautelari e pre-cautelari in carcere, che va oltre al perverso meccanismo delle cosiddette “porte-girevoli” su cui è intervenuto il decreto-legge n. 211 dello scorso dicembre; ma, come ha rilevato il Presidente della Cassazione nella recente inaugurazione dell’anno giudiziario, per guardare alla necessità di rivedere e ridurre l’elenco dei reati per i quali è imposta la custodia in carcere.
Obbligo che ha fondamento, come affermato dalla Corte Costituzionale, per le associazioni di stampo mafioso (per le loro intrinseche capacità di condizionamento e modus operandi criminale), ma che dovrebbe anche essere considerata responsabilmente come forma di cautela processuale necessaria per contrastare la piaga dei reati di violenza sessuale contro le donne, in cui la vittima è spesso destinataria di ricatti, minacce e pressioni da parte dei suoi carnefici, se non da un inaccettabile residuo di sottoculture presenti nella società che ancora indulgono a giustificare i comportamenti predatori, a sminuire la gravità della violenza sulla donna o a considerare la stessa libertà sessuale della donna un’ipocrita attenuante anche nelle ipotesi più abiette di sopraffazione.
In generale, tuttavia, si tratta di assumere davvero il criterio dell’extrema ratio della custodia in carcere alla luce delle reiterate sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato l’illegittimità delle norme che impongono la misura restrittiva della libertà personale per specifiche fattispecie di reato, senza consentirne la graduazione attraverso misure cautelari meno restrittive, ma pure idonee a preservare le esigenze processuali e di sicurezza sociale.
A ben vedere, si tratta di disinnescare quella perniciosa tendenza che attraversa certa parte di opinione pubblica, come certa pubblicistica, che traspone le cautele a garanzia del successivo giudizio, in una domanda di anticipata esecuzione della condanna, della quale si fa interprete un certo populismo politico nostrano; pronto a reclamare, poi, i garantismi più capziosi per i poteri protetti, invocando al contrario che nessuno - dei propri pari – debba andare in carcere senza una condanna definitiva.
Guardando, con sana laicità, agli strumenti rispetto ai problemi, bisogna puntare alla prontezza del giudizio e, quindi, alla efficienza della giustizia per conseguire, contestualmente, maggiore sicurezza ed economicità della machina giudiziaria; piuttosto che inseguire le facili suggestioni emotive di un’opinione pubblica pervasa da allarmi securitari, diffusi a gran voce come strumenti di lotta politica e, nello stesso tempo, disorientata dalle denuncie della crisi e dai tempi lunghi del servizio giustizia.
2. La riforma strutturale principe auspicata dal Pd sta nel superamento del cosiddetto pan-penalismo che affatica quel sistema giustizia e che, con i suoi ritardi ed inefficienze, determina ricadute su un carcere-contenitore di persone poste in una attesa ingiustificata e spesso ingiusta, a cui segue - spesso a lunga distanza temporale - uno stillicidio di esecuzioni in carcere per periodi brevi.
Esecuzioni di pena che non hanno più una effettiva valenza retributiva e di rieducazione, quando ricadono su condannati cambiati rispetto alle persone su cui è stato formulato il giudizio e che sovente hanno già superato la fase deviante della loro esperienza di vita, ma per le quali non c’è tempo di applicare sanzioni diverse dal carcere. Sebbene l’attuale Governo non possa mettere nel proprio orizzonte una riforma organica dei codici che pure attende da troppi anni e sulla quale esiste una amplissima e precisa elaborazione, si può comunque pensare a depenalizzare i reati minori, all’introduzione dell’istituto del non luogo a procedere per irrilevanza penale del fatto o la tenuità dell’offesa; a prevedere sanzioni differenziate in ragione della gravità del reato secondo i principi di sussidiarietà, offensività e responsabilità.
Questi sono alcuni esempi di interventi possibili che il PD ha presentato al Senato e alla Camera, sui quali si può verificare l’esistenza di un ampio consenso. Pochi giorni fa lo stesso Presidente della Cassazione Ernesto Lupo ha invocato come prospettiva realistica che ci affianchi alle legislazioni più evolute, che realizzano più sicurezza pur con minor ricorso al carcere.
3. L’aggravio del trattamento sanzionatorio e del regime penitenziario per i condannati recidivi è stato individuato come la maggiore causa dell’iperbolico aumento dei detenuti e quindi dell’attuale condizione di sovraffollamento delle carceri. Ma al di là dell’evidenza empirica raccontata dagli operatori della giustizia e verificata dagli studi che smentiscono il reclamato effetto di deterrenza sul rischio di reiterazione dei reati da parte dei pluri-condannati, la legge ex-Cirielli segna l’inconcludenza e l’inefficacia delle politiche della paura perseguite negli ultimi anni, che hanno invece innescato una torsione delle politiche della sicurezza nelle nostre città, orientandole contro i soggetti che popolano il degrado e le marginalità metropolitane. E’ saggio e opportuno ristabilire l’equilibrio e restituire al giudice di merito la determinazione delle pene per le responsabilità accertate ed in relazione alla diagnosi fondata su obiettivi elementi circa la pericolosità del condannato recidivo, evitando apodittiche etichettature e presunzioni di rischio criminale. Così come è intelligente ed utile restituire le opportunità di accesso ai benefici penitenziari ed alle misure alternative, sulla base dell’evoluzione della persona e di una prognosi di responsabile reinserimento nella società.
4. Il rilancio delle misure alternative al carcere per l’esecuzione delle pene è ritenuto non solo una leva per alleggerire le generali condizioni di sovraffollamento, ma soprattutto un potenziale agente per restituire speranza ai condannati e quindi far scendere conseguentemente le tensioni della detenzione. Occorre, tuttavia, rendere praticabili tali percorsi supportandoli di risorse professionali e materiali che accompagnino il reinserimento, soprattutto per l’amplia platea di persone condannate che non dispongono di appoggi socio-familiari ed opportunità di lavoro. In questa direzione il Pd ha avanzato proposte per nuove tipologie di misure alternative, professionalmente strutturate e orientate, quale il Patto di reinserimento sociale, che non vuole fornire solo una risposta al drammatico sovraffollamento attraverso un riequilibrio delle pene eseguite in stato di detenzione e quelle in esecuzione penale esterna, ma propone un nuovo approccio al tema del reinserimento sociale delle persone sottoposte a sanzione penale, che siano prive dell’aiuto socio-familiare, di opportunità di accesso al lavoro ovvero di una efficace supporto legale per l’ammissione alle misure alternative già previste dall’ordinamento penitenziario, che sono tarate per condannati a pene detentive brevi, in particolari situazioni socio familiari (per età o per le detenute madri) ovvero in condizioni di salute che richiedono cure e percorsi di riabilitazione (tossicodipendenti o affetti da malattie particolarmente gravi). Inoltre, riteniamo indifferibile il potenziamento degli incentivi per l’offerta di lavoro ai detenuti in carcere o in misura alternativa già previsti dalla legge Smuraglia, con la proposta sostenuta dai nostri parlamentari che approda ora all’esame dell’Aula di Montecitorio.
Certamente, questo non basta a riequilibrare la dimensione con gli analoghi istituti di esecuzione penale esterna previsti nei Paesi europei nostri omologhi. Ma riteniamo che l’inversione di una tendenza che fino a ieri ha penalizzato le opportunità di accesso alle misure alternative alla detenzione, possa riaprire il ragionamento ed il terreno di un confronto per fare delle attuali esperienze del trattamento penitenziario in ambito esterno al carcere, sanzioni penali principali erogabili dal giudice di cognizione.
A questo proposito è necessario potenziare le strutture ed i servizi territoriali degli Uffici dell’esecuzione penale esterna, invertendo le politiche degli ultimi anni che ne hanno depotenziato la funzione, svilito le ricchezze professionali maturate sul campo, mortificato il ruolo e gli investimenti in un settore di importanza strategica per le prospettive del sistema penitenziario.
5. Su questo stesso piano, che richiede di attivare più efficaci opportunità di recupero e di riabilitazione della persona, si muove la proposta di revisione delle norme sul trattamento penale dei tossicodipendenti autori di reato; valorizzando quelle esperienze che prevedono l’intervento dei servizi territoriali del Servizio sanitario nazionale fin dal momento in cui il tossicodipendente compare davanti al giudice e possa, quindi, coadiuvarlo ad individuare progetti o strutture terapeutiche, che evitino la peggiore delle soluzioni, quale è il carcere. Occorre perciò modificare la legge Fini-Giovanardi, laddove pone eccessivi limiti e condizioni ai percorsi terapeutici alternativi alla detenzione. Condizioni e limiti che obiettivamente confliggono con le storie dolorose delle più ostinate dipendenze da sostanze, frutto della disputa ideologica sulle terapie di riduzione del danno. Vanno messe in opera, invece, interventi e risorse per sfruttare meglio le opportunità alternative che la stessa normativa si proponeva di estendere, laddove ampliava i limiti di pena per l’accesso ai benefici e così, di fatto, riconoscendo nel carcere il danno maggiore a qualsiasi chance di recupero.
6. Anche per i condannati stranieri è necessario superare il trattamento discriminatorio in campo penale e penitenziario che, di fatto, ha pervaso la legislazione degli ultimi anni. Dopo la dichiarazione di illegittimità della previsione dell’aggravante per i reati commessi dai detenuti stranieri, che ha già significativamente contribuito ad attenuare il sovraffollamento carcerario, occorre recuperare la migliore tradizione giuridica del nostro Paese, seguendo quanto affermato dalla Corte di Cassazione in diverse occasioni e cioè che deve essere negata la possibilità di introdurre discriminazioni tra cittadini (e stranieri muniti di permesso di soggiorno) e stranieri in condizione di clandestinità, per la decisiva ragione che le relative disposizioni di legge sono dettate a tutela della dignità della persona umana, in sé considerata e protetta indipendentemente dalla circostanza della liceità o meno della permanenza nel territorio italiano” e, “che non esiste incompatibilità tra espulsione da eseguire a pena espiata e misura alternativa volta a favorire il reinserimento del condannato nella società, posto che non è possibile distinguere tra società italiana e società estera” e “che la risocializzazione non può assumere connotati nazionalistici, ma va rapportata alla collaborazione fra gli Stati nel settore della giurisdizione”.
7. Per quanto attiene all’istituto della sospensione del procedimento con la messa alla prova dell’imputato crediamo che potrà risultare particolarmente efficace nei confronti dei più giovani adulti autori di reato, ancora primari nell’esperienza dell’illegalità, soprattutto per la sua consolidata sperimentazione nel settore minorile e ci auguriamo, quindi, che possa essere esaminata e approvata celermente dal Parlamento. Si darebbe, così, continuità ed omogeneità alla azione di contrasto ai fenomeni di cosiddetto bullismo, della micro-violenza urbana o da stadio che si producono nell’area minorile contigua, prevenendo la loro evoluzione verso manifestazioni criminali più pericolose o l’attrazione in circuiti di illegalità di maggior allarme sociale, che può generarsi nella condizione di disagio giovanile in questi tempi di crisi economica.
8. Per poter efficacemente agire su queste misure deflative e, ancor più, per far fronte alle sofferenze ed ai problemi del sovraffollamento delle strutture penitenziarie, abbiamo indicato la necessità di aumentare il personale per le professioni di cura alla persona (quali educatori, assistenti sociali, psicologi) e di adeguare gli organici della Polizia penitenziaria. E per questo sollecitiamo il Governo a presentare il piano di assunzioni necessarie a risolvere i problemi del disagio lavorativo che proviene dalla maggior parte delle strutture sul territorio.
Le risorse delle professioni penitenziarie sono essenziali, per ricostruire la giusta tensione del sistema verso i propri obiettivi di fondo, soprattutto allorquando queste professioni sviluppano capacità nel lavoro di rete, sia con i servizi e le istituzioni del territorio, orientato alla presa in carico dei bisogni di cura e di assistenza delle persone, sia con i presidi della prevenzione e della sicurezza, affinché si recidano col carcere i poteri ed i collegamenti con le organizzazioni criminali più pericolose e pervasive.
Ma a queste professionalità dobbiamo riconoscere soprattutto dignità, identità definita e motivazioni per l’esercizio dei loro difficili compiti; a partire dal superamento dell’assurdo blocco al contratto della dirigenza penitenziaria e da un efficace riallineamento ordinamentale ed operativo della Polizia penitenziaria, per giungere alla valorizzazione delle migliori, qualificate competenze e conoscenze dei diversi profili professionali (assistenti sociali, educatori, psicologi, operatori amministrativi e tecnici), con il tangibile riconoscimento del particolare impegno richiesto e con la protezione dal rischio di stress eccessivo nelle più difficili ed esposte condizioni di lavoro.
9. Poniamo la questione della revisione delle misure di sicurezza, divenute pressoché indistinguibili dalla pena carceraria, lascito di un codice penale di epoca fascista, e di classificazioni di pericolosità sociale ormai superate. Oggi le Case Lavoro o le Colonie Agricole non offrono concretamente quel lavoro utile a proporre un cambiamento degli stili di vita e a contrastare la tendenza a delinquere. Gli internati per misura di sicurezza concorrono al sovraffollamento e spesso sono associati in sezioni di carcere, prolungando così solo una pena restrittiva, con scarse opportunità rieducative e risocializzanti e con minime possibilità di accedere a misure da eseguire nella società libera.
Il progetto di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari sta, invece, finalmente per concretizzarsi ed è il paradigma di quel riformismo coraggioso e tenace, di una intelligenza politica e di un impegno capace di tracciare percorsi, individuare risorse, coinvolgere responsabilità ampie e condivise, di orientare le sinergie necessarie e quindi di trovare credibilità e consenso ampio e trasversale fra i diversi schieramenti politici. Certamente è una riforma che auspichiamo possa arricchirsi nel suo sviluppo sul campo; spostando progressivamente l’attenzione e l’impegno dei presidi sanitari territoriali sui progetti terapeutici individuali per i malati psichiatrici che siano stati autori di reato, piuttosto che sulla mera gestione delle strutture di contenimento, dove inizialmente dovranno essere allocati gli internati per l’esecuzione della misura di sicurezza irrogata, ma che sempre più dovranno diventare centri di riferimento di un’ampia rete di servizi che supportano la riabilitazione dei malati psichiatrici sul territorio.
Questo è il riformismo al quale ci vogliamo ispirare.
Proposte che assumono i valori fondanti della civiltà e dello stato di diritto, per guardare alla prospettiva di sistema, ma che tengono al centro le persone: la loro dignità, i loro diritti, i vincoli di solidarietà, per generare impegno, opportunità concrete, sicurezza e fiducia nel futuro.
Il riformismo costruito sullo stato di eccezione e dell’emergenza, spesso riproduce, solo amplificandole, le forme e le condizioni dell’esistente, rende croniche le distorsioni e rinuncia all’ambizione di immaginare e perseguire il cambiamento.
Questo è stato il limite del fantomatico “Piano carceri” sbandierato continuamente quale unico modello da seguire per risolvere i problemi: progettare solo un sistema carcere sempre uguale a se stesso. Anzi peggiore: senza le persone, senza la speranza che la loro vita alienata possa cambiare, senza l’impegno convinto di chi vi opera, senza la solidarietà delle comunità e senza la partecipazione delle altre istituzioni ed i servizi del territorio. Insomma, il carcere come ratio assoluta ed immodificabile, che riproduce ed alimenta la domanda incontrollata di segregazione.
In questo segno sta la nostra richiesta di superare ogni resistenza e difficoltà per l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e per l’introduzione nel nostro ordinamento del delitto di tortura previsto come obbligo giuridico internazionale dalla Convenzione delle Nazioni Unite.
C’è anche un riformismo più debole, quando non è capace di coinvolgere tutti gli attori impegnati, la responsabilità dei soggetti istituzionali, che non trova le forme concretedell’agire il cambiamento, non si cala, con sano e laico pragmatismo, nei problemi veri delle persone. Penso alla travagliata vicenda del trasferimento della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. Il Partito Democratico è impegnato, in Parlamento come nelle Amministrazioni sul territorio, a riattivare un circolo virtuoso per l’attuazione di quella riforma, ridandole energia e riaprendo quel confronto fra tutti, che anche magari solo in parte è mancato, ma che ha determinato inaccettabili ritardi ed evidenti cadute sui livelli indispensabili di prestazioni per la tutela della salute delle persone detenute ed internate.
E’ con questo spirito che il Partito Democratico offre alla discussione le proprie proposte attorno al tema del sovraffollamento penitenziario, aperto ai contributi come alle riflessioni critiche di questo seminario, così prestigiosamente qualificato.

venerdì 3 febbraio 2012

Consiglio dei ministri approva nomina Tamburino al Dap

Fonte: Affari Italiani
...Il Governo ha approvato questa mattina alcune nomine ai vertici del ministero della Giustizia proposte dalla guardasigilli Paola Severino. Il consiglio dei ministri ancora in corso, secondo quanto si è appreso, ha dato via libera alla nomina di Giovanni Tamburino come nuovo capo del Dipartimento affari penitenziari al posto di Franco Ionta. Sono stati inoltre nominati Manuela Romeo Pasetti nuovo capo della Direzione minorile ed Eugenio Selvaggi al Dipartimento Affari di Giustizia

Carceri d'oro... galera sprecona...

Lirio Abbate -Espresso, 3 febbraio 2012
In celle vecchie e sporche 70mila detenuti. Mentre dirigenti e ministri della Giustizia spendono. Per case, auto blu e privilegi. Il livello di civiltà di un Paese? Per Paola Severino si misura "dallo stato delle carceri". Il nuovo ministro della Giustizia vuole risolvere il problema del sovraffollamento e delle pessime condizioni di detenzione.

E ha promesso di "dimostrare anche ai criminali della massima pericolosità rinoma diversità tra la legalità della nostra democrazia ed ogni forma dì intollerabile arbitrio". Una sfida che potrebbe cominciare dall'esame di quello che hanno combinato i suoi predecessori. Da più di un anno il numero dei detenuti nei 207 istituti è stabile sui 67-68 mila, cioè 23 mila presenze in più rispetto alla capienza regolamentare. Con continui suicidi di detenuti e agenti penitenziari.

Con continue chiusure per ristrutturazioni, o per mancanza di personale che ne fanno diminuire la capienza. Secondo quanto risulta a "l'Espresso", nella gran parte dei penitenziari i detenuti vivono in tre in celle di nove metri quadrati, mentre tra le otto e le quindici persone in cameroni dai 10 ai 18 metri quadrati.

I predecessori della Severino negli scorsi anni a parole denunciavano il dramma, nei fatti hanno permesso sprechi scandalosi. Dal terrazzo pensile da reggia babilonese del leghista Roberto Castelli alle consulenze per gli amici di Angelino Alfano; dalle Jaguar usate come auto blu, alle ristrutturazioni d'oro per l'alloggio del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.

E poi agenti penitenziari "fantasma" imboscati negli uffici, e appalti affidati sempre alle stesse dieci imprese edili. Per non parlare di una società, sulla quale sono in corso accertamenti, che si occupa della mensa in un carcere campano, che ha fissato nell'istituto la propria sede. Un fiume di soldi buttati per privilegi e camarille, mentre nelle celle spesso viene negato il minimo necessario al rispetto della dignità umana.



Il ministro verde



Anche l'appartamento riservato ai Guardasigilli in carica, una splendida residenza nel cuore di Roma, grava sul budget dei penitenziari (la Severino però non ci abita). Nel 2004 l'allora ministro Castelli pretese un sipario verde e fece allestire in terrazzo una piccola selva: furono acquistate piante per oltre 100mila euro. Nessuno si scandalizzò per la richiesta dell'ingegnere lecchese, che ha finanziato studi e progetti carcerari producendo solo consulenze e cause legali. Il parco continua a prosperare, affidato alle cure di un giardiniere pagato 800 euro al mese. In otto anni sono stati spesi fino ad oggi quasi 78mila euro per rendere più liete le ore d'aria di ministri e ospiti.



Alloggi all-inclusive



Anche alcuni dei vertici del Dap, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria da cui dipende la vita dei reclusi, e qualcuno del ministero della Giustizia, non si trattano male. Hanno a disposizione, per decreto legge, ben otto appartamenti.

E i contribuenti si tanno carico anche delle governanti: la voce di spesa e inserita come "pulizie" e costa 6 mila euro al mese. Secondo quanto risulta a "l'Espresso", uno dei massimi dirigenti avrebbe usufruito in alcune occasioni mondane - feste a piccoli ricevimenti privati - anche di un cuoco a domicilio. Alla faccia del rancio distribuito nei raggi.



Cinque stelle per il gran capo



In una delle zone più belle di Roma, tra via Giulia e piazza Farnese, c'è l'appartamento riservato al capo del Dap. Una dimora di 170 metri quadrati su due livelli con terrazzo, con un valore immobiliare superiore ai tre milioni di euro. Nel 2008 appena nominato al vertice, il magistrato Franco Ionta ne ha subito disposto la ristrutturazione.

I lavori furono affidati ad una impresa che di solito esegue lavori nei penitenziari ma qui ha sfoggiato altro lusso: stucchi e persino scale in vetro, il tutto per un costo che ha sfiorato il mezzo milione di euro. Una cifra sproporzionata per il mercato edile romano. Ma il risultato poco importa perché Ionta ha preferito non abitarci: l'appartamento è rimasto vuoto, senza essere assegnato ad altri.



Il garage dei desideri



In fatto di vetture il Dipartimento penitenziario ha fatto scelte particolari. Nell'autoparco spiccano una Jaguar (auto preferita da una direttrice), una Phaeton Volkswagen da 80mila euro e Bmw full optional. Singolare la scelta di acquistare 70 Subaru dallo stesso concessionario che - secondo quanto risulta a "l'Espresso" - per una coincidenza ne avrebbe vendute altre quattro a prezzi scontati a persone che sarebbero vicine a dirigenti del Dap. Acquisto che è oggetto di un'ispezione interna. Fra gli ultimi arrivi anche 34 Land Rover blindate destinate al trasporto dei collaboratori di giustizia. Ognuna costa 140mila euro e sono super accessoriate: dai sedili in pelle riscaldati al magnifico impianto stereo Harman-Kardon. Piccolo problema: 12 di questi gioielli sono fermi perché non hanno ancora superato il collaudo. Uno spreco niente male se confrontato con la situazione delle prigioni dove scarseggiano i mezzi per il trasporto dei detenuti: da Firenze a Trapani, i cellulari sono rimasti fermi per carenza di benzina o di ricambi. E cos'i in alcune occasioni sono pure saltate udienze e processi anche di mafia.



Ma vai al Caga



Non è un insulto, ma un privilegio a cui ambiscono gli agenti penitenziari, il Caga, sigla che sta per "Centro amministrativo Giuseppe Altavista" è l'ufficio dei desaparecidos: gli agenti assegnati lì, spariscono negli uffici, sono migliaia i poliziotti provenienti da tutti gli istituti di pena che sono finiti al Caga grazie a raccomandazioni e segnalazioni, sguarnendo l'organico delle carceri e provocando la conseguente riduzione dei posti per i detenuti, nonostante la grande capienza degli istituti. A Rieti, ad esempio, la nuova struttura penitenziaria può contenere 400 detenuti, ma a causa della carenza di agenti ne ospita solo 80. Niente guardie, niente reclusi obbligati a restare in prigioni stracolme. Invece al Caga c'è sempre la fila di agenti perché da lì si imboscano nelle comode stanze del potere: al ministero della Giustizia, dove svolgono ruoli di commesso o assistenti alle varie segreterie dei dirigenti; negli uffici della sede centrale o dì quelle regionali dello stesso Dap e persino al Consiglio superiore della magistratura.



Una legione perduta



"Al Dap ci sono circa 1.200 agenti imboscati, ma il numero esatto, che potrebbe essere più alto, non lo conosce nessuno. Perché il ministro Severino non lo chiede al capo dell'amministrazione lenta?". La denuncia arriva da Donato Capece, segretario del Sappe, il maggior sindacato della polizia penitenziaria: "Oltre agli agenti imboscati, negli uffici del Dipartimento sono stati trasferiti pure 56 direttori di carcere, mentre negli istituti mancano. Così se negli uffici del Dap si vive bene, nelle carceri soffrono impiegati, agenti e detenuti. Se ci fossero in organico pure gli "imboscati" si sarebbe potuto disporre, tanto per cominciare, dei 400 posti di Rieti e dare man forte a Regina Coeli e Rebibbia che scoppiano di detenuti e sono poveri di guardie". Secondo il sindacato su circa 8mila agenti in servizio a Roma, 3mila sono negli uffici.



Chiuso per ristrutturazione



Le condizioni di manutenzione degli edifici sono "quasi ovunque scadenti" e nel corso degli anni le risorse destinate agli interventi ordinari si sono progressivamente ridotte "fino a rendere impossibile anche forme di intervento minimo di conservazione". Per questo motivo sono moltissimi gli spazi chiusi per inagibilità o per ristrutturazione straordinaria. Questo problema potrebbe mettere a rischio, secondo quanto apprende "l'Espresso" da fonti del Dap, già nei prossimi mesi 40 mila posti. Oggi sono in attività 207 strutture, un quinto delle quali costruite tra il tredicesimo e il sedicesimo secolo: monasteri e fortezze soggette a vincoli dei Beni culturali.



Più consulenze che celle



Il piano varato due anni fa dall'allora ministro Alfano prevedeva la realizzazione di 9.150 posti per una spesa di quasi 700 milioni di euro. Dovevano essere realizzati 11 nuovi istituti e ampliati padiglioni di alcune carceri. Il piano non ha avuto grande successo, tranne che per i consulenti: gran parte dei quali sono stati nominati dal commissario straordinario Franco Ionta su indicazione di Alfano. I cantieri non sono stati aperti: sono partiti solo tre bandi di gara e lo scorso settembre il governo Berlusconi ha revocato il mezzo miliardo, stanziato ma non utilizzato. Per i consulenti invece sono stati bruciati un milione e 300 mila euro. Professionisti che sembrano scaturire in gran parte da un intreccio familiare e politico. Fra i soggetti attuatori del piano, come responsabile della tesoreria è stata nominata la fiorentina Fiordalisa Bozzetti (per sei mesi 100 mila euro), moglie dell'architetto Mauro Draghi, in servizio al Dap e responsabile del gruppo tecnico. Per il settore giuridico è stato scelto l'avvocato palermitano Andrea Gemma (100 mila euro da luglio a dicembre 2010), amico di Alfano, e commissario nominato in altre importanti società come Valtur e Alpi assicurazioni. Infine l'ingegnere Mauro Patti, testimone di nozze di Alfano, nominato soggetto attuatore per il settore tecnico con un compenso di 100 mila euro per sei mesi.



Tutti in gattabuia



Anche le carceri non pagano la bolletta. Privi di fondi, gli istituti di pena hanno accumulato una morosità record per le forniture di luce, acqua e gas che sfiora i 90 milioni di euro. Rischia di chiudere il carcere di Cuneo perché da mesi non paga il canone idrico e la società che la eroga si è già mossa con decreti ingiuntivi: l'ultimo passo prima di tappare i rubinetti.

Affitti d'oro

In compenso, le sedi regionali del Dipartimento, e in particolare l'Uepe (Ufficio esecuzioni penale esterna) sono tutti in affitto per una spesa complessiva di 5 milioni e 800 mila euro. Dai documenti ottenuti da "l'Espresso" si nota che per alcuni immobili si paga un canone doppio rispetto al valore di mercato. In alcuni casi è stato moltiplicato anche cinque volte, come a Palermo dove per 200 metri quadrati al piano ammezzato in via Damiani Almeyda, il Dap paga 5.242 euro al mese, quando nella stessa zona alloggi dì lusso vengono affittati a 1.500 euro. La proprietaria è la signora Lorenza Pisciotta che possiede molti immobili in città. A Roma, invece, per un grande appartamento in via Ostiense di proprietà della Finimvest III, società lussemburghese, il canone annuo è di 254 mila euro. A Bologna gli uffici del provveditorato e quelli dell'Uepe costano ogni anno 367 mila euro. La società Sicily Real estate srl incassa per due uffici a Catania 133 mila euro; a Catanzaro si spendono 171 mila euro.



Carceri liberalizzate



La soluzione scelta dal governo Monti può suonare come un controsenso: liberalizzare le carceri. Lo Stato si affida a banche e imprenditori per avere nuovi penitenziari e li incarica anche della gestione dei servizi, tranne la custodia. L'operazione, suggerita dal ministero delle Infrastrutture, prevede il project financing per la realizzazione di nuove prigioni. Una norma particolare che, secondo un pm antimafia, "rischia di esser violata dall'infiltrazione della criminalità organizzata che andrebbe a gestire le carceri". Di fatto, però, il decreto mette nelle mani delle fondazioni bancarie il sistema carcerario. I privati, quindi, realizzeranno gli istituti di pena che daranno in concessione allo Stato per 20 anni. E dallo Stato si faranno pagare cento euro al giorno per ogni detenuto. Oggi costa all'amministrazione 120 euro, di cui cento per la custodia e i servizi amministrativi (che dovranno continuare ad essere assicurati dallo Stato), e 20 euro per il vitto e l'alloggio. Se non cambieranno questi parametri, la collettività si ritroverà a pagare 200 euro per ogni detenuto. Una soluzione, forse, ma a caro prezzo.

giovedì 2 febbraio 2012

Dap: Ionta se ne va, arrivano Tamburino e Pagano


Il Sole 24 Ore, 2 febbraio 2012

Rivoluzione ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: l’attuale capo Franco Ionta lascia il posto a Giovanni Tamburino, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma già transitato al Dap nel 1999 come direttore dell’Ufficio studi e ricerche, e ad affiancarlo ci sarà uno degli uomini più esperti del pianeta carcere, l’attuale Provveditore di Milano Luigi Pagano, “padre” del carcere modello di Bollate.

Le due nuove nomine potrebbero essere ufficializzate già venerdì dal Consiglio dei ministri. Il ministro della Giustizia Paola Severino lancia così un segnale chiaro sulla volontà di riportare le carceri agli standard previsti dalla Costituzione. Tamburino sostituisce Franco Ionta, ex capo del pool antiterrorismo della Procura di Roma giunto alla guida del Dap nel 2008 con l’ex guardasigilli Angelino Alfano e nominato dal governo Berlusconi, nel 2010, commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Incarico che la Severino, un mese fa, ha attribuito al vice prefetto di Catania Angelo Sinesio, nominato prefetto per l’occasione.
Tamburino, 69 anni, è entrato in magistratura nel 1970 e in quegli anni è stato giudice istruttore a Padova dove ha seguito le inchieste sull’eversione neofascista e sulle deviazioni dei servizi segreti. Negli anni 80 è stato al Csm nel gruppo di Unità per la Costituzione e poi vicepresidente dell’Anm e nell’88 fu tra i fondatori dei Movimento per la Giustizia insieme a Giovanni Falcone. Dopo l’esperienza al Dap fino al 2005, è stato presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia e di Roma, oltre che coordinatore dei giudici di sorveglianza. I sindacati di polizia Osapp e Sappe hanno espresso “perplessità” sulla nomina. Luigi Pagano, già direttore del carcere di San Vittore, guida da anni il Provveditorato della Lombardia e suo è il “progetto Bollate”, il carcere alle porte di Milano considerato un “modello”.

Giustizia: Severino; decreto-carceri efficace, ma su misure alternative serve disegno di legge

Agi, 2 febbraio 2012

Con lo strumento del decreto legge "si decreta su materie di assoluta urgenza e ineludibilità e pensare che questo sia un provvedimento risolutivo sarebbe irrisorio". Così il Guardasigilli, Paola Severino, ha risposto nella sua replica in Commissione Giustizia della Camera.

Ciò che va fatto "con più calma è un disegno di legge sulle misure alternative, sulle cause che possono incidere a monte sul fenomeno" del sovraffollamento. Un ddl "che potremo - ha aggiunto - discutere con assoluta celerità", in un percorso "accelerato, se ritenete di darlo" al Governo. Quanto all'amnistia: "è provvedimento parlamentare, sul quale, se si troverà una maggioranza, il Governo prenderà atto", ha aggiunto.

mercoledì 1 febbraio 2012

Carceri, la resa dei conti- Il governo ha deciso all'improvviso di mandare a casa il capo del Dipartimento dei penitenziari, Franco Ionta

di Lirio Abbate - Espresso

Il governo ha deciso all'improvviso di mandare a casa il capo del Dipartimento dei penitenziari, Franco Ionta.
Al centro di molte accuse sulla gestione del suo potere. A iniziare dalla lussuosissima ristrutturazione di un appartamento nel centro di Roma. Scoperta dall'inchiesta dell'Espresso in edicola da venerdì
(01 febbraio 2012) Cosa c'è dietro il cambio al vertice del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, deciso oggi dal governo? Una scelta tecnica o la cacciata di un dirigente in odore di scandali?

Il giudice del tribunale di Roma Giovanni Tamburino dovrebbe essere nominato al vertice del Dap al posto di Ionta, e la nomina potrebbe essere ufficializzata nel prossimo Consiglio dei Ministri. Ma i retroscena di questa scelta, che si possono trovare su 'L'Espresso' nel numero che sarà in edicola venerdì, sono molti.

Nell'inchiesta sulle "Carceri d'oro", infatti, Ionta è al centro di episodi inediti, storie di sprechi di denaro nel mondo carcerario e del ministero della Giustizia.

Una di queste è la vicenda scandalo di un alloggio, in una delle zone più belle di Roma, tra via Giulia e piazza Farnese. Lì c'è l'appartamento riservato al capo del Dap. Una dimora di 170 metri quadrati su due livelli con terrazzo, con un valore immobiliare superiore ai tre milioni di euro.

Nel 2008 appena nominato al vertice, il magistrato Franco Ionta ne ha subito disposto la ristrutturazione. I lavori furono affidati ad una impresa che di solito esegue lavori nei penitenziari ma qui ha sfoggiato altro lusso: stucchi e persino scale in vetro, il tutto per un costo che ha sfiorato il mezzo milione di euro.

Una cifra sproporzionata per il mercato edile romano. Ma il risultato poco importa perché Ionta ha preferito non abitarci: l'appartamento è rimasto vuoto, senza essere assegnato ad altri.

Una storia, si diceva, che si somma ad altri episodi di malagestione del Dap, che "l'Espresso" racconterà nell'inchiesta di copertina